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Strenne di Natale: perché leggere due preziosi inediti di J. M. Keynes

Inchiostri Libri, keynes

È il momento delle strenne. Nonostante la lunga crisi dal 2008 al 2016 e la nuova recessione che si prospetta, gli italiani sono terzi tra i top spender europei. Lo conferma la ricerca Deloitte Xstmas Spending giunta alla sua ventesima edizione. Anche quest’anno Deloitte ha effettuato un sondaggio tra oltre 8.000 consumatori di dieci Paesi – compresa l’Italia – per stimarne le spese natalizie. Preceduti solo dalla Spagna e dal Regno Unito che intendono spendere in media rispettivamente 632 euro la prima a testa e 614 euro il secondo, gli italiani ipotizzano di acquistare di più rispetto all’anno precedente. Una spesa che si aggirerà intorno ai 530 euro circa pro-capite. Un fiume di denaro che spesso va in doni inutili o poco graditi che si cerca di ‘riciclare’ alla prima occasione.

Ho un suggerimento che può sembrare banale: regalare libri ed incoraggiare ciò che John Maynard Keynes considerava un dovere sociale, ossia la lettura. E regalare proprio libri di J. M. Keynes. Nulla di pesante o di difficile da digerire. Ma qualcosa di leggero, poco conosciuto e di grande attualità.

Sono appena usciti due agili volumetti, di piccolo formato, ciascuno di una cinquantina di pagine, lavori giovanili o quasi e sino ad ora mai pubblicati in italiano ma rintracciabili solo nei Collected Writings editi da Macmillan negli Anni Settanta del secolo scorso. Per di più non si trovano in libreria e non hanno un prezzo di copertina. Occorre rivolgersi a chi li ha pubblicati. Per uno (Il Tesoro) alla Fondazione Ugo La Malfa (info@fulm.org). Per l’altro (I libri costano troppo?) all’editore Gius. Laterza e Figli Spa.

Il primo è il resoconto stenografico di una conferenza fatta nel 1921. Tocca un tema importantissimo e quanto mai oggetto di dibattito in questi mesi: l’imparzialità ed indipendenza della pubblica amministrazione (ed in particolare del ministero del Tesoro e soprattutto di quella che in Italia ha il nome di Ragioneria Generale dello Stato) i cui dirigenti, dato che sono al servizio dello Stato non dei Governi pro-tempore e dei loro cangianti orientamenti, non devono essere esposti a spoil system, ma esser scelti con cura tramite pubblico concorso e dotati di grande autorevolezza.

Il lavoro di Keynes, tradotto da Giovanni Farese, con una breve presentazione di Andrea La Malfa e con una prefazione di Sabino Cassese, è chiaro e netto: proprio perché impegnato in una lotta impari, di fronte a pressanti richieste di spesa pubblica (spesso motivate), è necessario che il Tesoro “sia sempre dotato delle armi tipiche del prestigio”, abbia “controllo finanziario” sull’intera spesa pubblica e verifichi “che non ci sia alcun spreco” e che “il denaro non sia impiegato in attività inutili”. Una vera e propria lezione sulla centralità del Tesoro (o più precisamente della Ragioneria Generale dello Stato), della sua primazia sul resto della pubblica amministrazione e, quindi, della importanza che i suoi dirigenti vengano selezionati con cura e siano inamovibili. Un messaggio importante in questi mesi in cui esponenti politici del “Governo del cambiamento” si sono lamentati, non troppo velatamente, dei vertici dell’Amministrazione senza fare mistero di volerli sostituire con “tecnici fidati” alla prima occasione.

Di grande attualità anche l’altro saggio, tradotto da Oliviero Pesce che lo arricchisce di un’acuta postfazione in cui compare l’industria editoriale britannica ed italiana. Nasce come articolo per il periodico The Nation nel 1927 e ci fa scoprire un Keynes microeconomista ed economista industriale che per dimostrare l’utilità sociale dell’editoria scava nei costi e nei ricavi della produzione e della distribuzione di libri.

Due brevi saggi che si leggono rapidamente e che fanno riflettere su temi oggi, come allora, sul tappeto.

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