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L’Opec pensa a nuovi tagli per stabilizzare il prezzo del petrolio

Il ministro dell’Energia saudita, Suhail Al Mazrouei, che è anche il presidente dell’Opec, ha annunciato che se il taglio delle produzioni deciso il 7 dicembre – quello da circa 1,2 milioni di barili accordato con l’ultima riunione di Vienna – non sarà sufficiente alla stabilizzazione dei prezzi, allora potrebbero esserci altre riduzioni.

La scorsa settimana il petrolio ha avuto il più importante calo settimanale dal gennaio 2016 (col Brent a 54 dollari al barile, mai così basso dopo settembre 2017), sotto le preoccupazioni per il rallentamento della crescita economica e per l’aumento dell’offerta americana, combinato disposto che potrebbe creare surplus sul mercato e dunque un indebolimento del valore. A fronte di queste previsioni, l’Opec aveva già deciso di rallentare le produzioni nella settimana precedente – è la legge di mercato, se diminuisce la quantità del bene disponibile, ne aumenta il valore – ma è evidente che la decisione non è bastata a rassicurare i mercati.

L’emiratino Al Mazrouei ha detto che “i tagli programmati sono stati attentamente studiati, ma se non funzionano, abbiamo sempre la possibilità di tenere una riunione straordinaria dell’Opec” e da lì deciderne di altri. A fianco a lui, in una conferenza da Kuwait City, i colleghi iracheni e algerini (membri del comitato di monitoraggio dell’organizzazione) che a turno hanno ribadito la linea, che trova già concordanza operativa a Riad.

L’Arabia Saudita, il più grande esportatore di petrolio del mondo e da sempre decision making all’interno del gruppo, prevede di pompare 10,2 milioni di barili al giorno a gennaio, anziché i 10,3 milioni che l’ultima riunione dell’Opec+ (il sistema che comprende oltre ai produttori consorziati anche la Russia). Ed è un’altra notizia, visto che contro i tagli si era sbilanciato apertamente il presidente statunitense Donald Trump, il più stretto alleato dei sauditi.

Il 5 dicembre, cercando di anticipare la decisione dei paesi produttori, Trump aveva chiesto via Twitter che l’Opec si impegnasse a mantenere i flussi “così come sono” – “Il mondo non vuol vedere, né ha bisogno, prezzi del petrolio più alti!”, diceva Trump, ma il suo messaggio era passato inascoltato meno di 48 ore dopo.

Trump ha interesse che i prezzi alla pompa restino bassi, perché sono quelli che più concretamente toccano i cittadini. Il braccio di ferro con l’Opec dura da diversi mesi – sulla base di questa che è anche una necessità politica, in termine di consenso, per il presidente americano. A giugno l’alleanza petrolifera aveva accettato di aumentare le produzioni (e dunque calare i prezzi), dopo essersi resa conto di aver precedentemente tolto dal mercato più petrolio del necessario.

Finora a pompare è stata soprattutto l’Arabia Saudita, che ha toccato quote record di 11 milioni di barili, ma le decisioni erano anche collegate alla reintroduzioni delle sanzioni americane contro l’Iran, con conseguente calo delle produzioni/esportazioni da Teheran e rischi di scombussolamento dei prezzi. Poi il costo del greggio è crollato di oltre il 30 percento negli ultimi due mesi, facendo pressione sui bilanci dei paesi esportatori di petrolio.

Le previsioni Opec dicono che nel prossimo anno ci saranno dei surplus, e dunque i paesi produttori vogliono difendersi dal ripetersi di situazioni estreme simili a quelle del 2014, quanto l’eccessiva quantità del bene disponibile sul mercato ne schiacciò il valore producendo i minimi quinquennali nel 2015, quando il petrolio ai 30 dollari a barile.


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