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Perché l’attuale codice degli appalti è un intralcio (e va cambiato)

abusi, Appalti

Per far ripartire gli investimenti pubblici è indispensabile rivedere, pesantemente, l’ultima versione del codice degli appalti, esempio archetipico di insipienza burocratico-amministrativa. Al punto che non è assolutamente fori luogo pensare che il codice in vigore porti la responsabilità del recente rallentamento degli investimenti pubblici. Può essere utile rammentare qui che, circa un mese dopo l’entrata in vigore dell’attuale codice degli appalti, è comparso in Gazzetta un primo decreto di modifiche, si badi bene non di modifiche sostanziali ma di correzioni di un migliaio ca. di errori di grammatica e sintassi!

In un convegno organizzato da Asmel e da Asmel Consortile insieme ad Unipartenope lo scorso 25 luglio sono emersi in maniera chiara i due filoni fondamentali che rendono l’attuale codice un intralcio e nulla più. Possiamo caratterizzare questi due filoni come segue: (a) la problematica organizzativa e (b) la carenza di professionalità tecniche che porta con sé tutta una serie di assurdità istituzionali. Vediamo i due punti separatamente.

La problematica organizzativa. Malgrado una serie di interventi legislativi che non sono riusciti ad incidere sulla pratica dei comportamenti amministrativi, dietro la fiorente normativa in materia di pubblico impiego opera una sorta di modello fantasma che, anziché stabilire cosa bisogna fare, quando bisogna farlo, come bisogna farlo (organizzazione per processi) distribuisce potere/autorità ai singoli dirigenti e funzionari, senza preoccuparsi di coordinare il loro operato (ne abbiamo scritto su questo stesso sito). Questo modello è incardinato nel Codice degli Appalti nella figura del Responsabile Unico del Procedimento (Rup). Tale figura contraddice tutta la normativa sul procedimento amministrativo, introdotta con la legge 241/90 (legge modificata in maniera significativa con la legge 15 del 2005; dopo tale legge comunque si sono avuti, ad oggi, altri 26 interventi di parziale modifica, indicatore questo di notevole instabilità normativa). Orbene questo Rup diventa una sorta di deus ex machina che tutto può e tutto fa, facendone di fatto un paralitico paralizzante. Nel codice degli Appalti il Rup è citato ben 58 volte. All’art. 31 il Codice degli Appalti affida all’autorità anticorruzione (Anac) il compito di definire le attribuzioni del Rup. Anac non si lascia sfuggire l’occasione e produce una lista di ben quaranta dictat (in parte requisiti che il Rup deve avere, in parte poteri che il Rup ha, il tutto in un minestrone privo di filo logico). Si tratta di una lista che, nella sua minuziosità, dice un po’ tutto e il contrario di tutto. L’Anac non si ferma qui. L’Anac produce anche una serie di modelli per le stazioni appaltanti che spesso contraddicono quanto l’Anac stessa ha statuito in relazione al Rup e allo stesso codice.

La carenza di professionalità. Quando mi capita di discorrere con i miei colleghi al di sopra delle Alpi sul tema degli appalti, questi di solito sono sorpresi da alcune pratiche italiane che non riescono a capire. Una di queste pratiche è quella secondo cui il direttore dei lavori non è il responsabile della ditta aggiudicatrice ma è nominato dalla stazione appaltante. Questa stranezza trova la sua spiegazione nel fatto che i nostri capitolati sono molto vaghi e pieni di buchi che devono essere di volta in volta riempiti attraverso un processo di negoziazione tra la ditta e il direttore dei lavori. Se non c’è qui un’occasione di corruzione, credo che non ci sia nemmeno all’inferno. Qui emerge il vero problema: nel nostro Paese mancano professionisti in grado di fare dei capitolati decenti, capitolati che non devono lasciare niente di imprevisto da decidere on the spot attraverso un processo negoziale. Un capitolato per la costruzione di un edificio da adibire a scuola, di solito, è formato da più di diecimila fogli informatici! Nulla deve essere lasciato al caso. Le varianti in corso d’opera non sono una evenienza apprezzabile.

Una ulteriore stranezza che colpisce i colleghi nordici è data dal fatto che, una volta proceduto all’aggiudicazione, si debba stendere un contratto. Anche se si ha l’incontro della volontà delle parti (la sostanza del contratto) certificato da un atto pubblico (il verbale di aggiudicazione) si sente il bisogno di un ulteriore documento. Questo è riconducibile al fatto che il capitolato è troppo vago. Il contratto dovrebbe essere steso dall’ufficiale rogante (un funzionario della stazione appaltante che percepisce una congrua remunerazione per questa attività). Questi ufficiali roganti raramente hanno la professionalità per stendere contratti complessi. Tali contratti vengono di fatto, spesso, informalmente forniti all’ufficiale rogante dagli esperi della ditta aggiudicatrice. In tali contratti si trovano di solito riempiti una parte dei buchi lasciati dal capitolato, riempiti nell’interesse della ditta aggiudicatrice.

Non solo mancano professionisti in grado di produrre capitolati decenti, mancano anche ispettori in grado di valutare tecnicamente se quanto realizzato corrisponde al capitolato. Ai colleghi al di sopra delle Alpi appaiono strane, a questo proposito, due cose: innanzi tutto il fatto che non esista un corpo di ispettori/valutatori indipendenti e, poi, il fatto che le commissioni per la valutazione della congruità dell’opera siano presiedute da dei magistrati e non siano composte esclusivamente da tecnici.

Qui si impongono alcuni suggerimenti, suggerimenti che possiamo suddividere in due gruppi: (a) di impatto immediato e (b) di medio-lungo periodo. Per l’immediato si dovrebbe semplicemente procedere alla eliminazione del Rup e al ripristino dell’utilizzo, come per tutte le altre attività della pubblica amministrazione, del responsabile di procedimento così come previsto dall’art. 5 comma 1 della legge 241/90. Per interventi più sostanziosi ma che richiedono tempo, bisognerà por mente alla formazione di esperti in stesura dei capitolati e alla formazione di ispettori professionali. Qui non ci si deve fare illusioni: in Italia non abbiamo nemmeno le risorse per formare questi due tipi di professionisti e saremo costretti a far ricorso all’aiuto esterno.


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