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Perché (e come) l’industria può salvare il Paese

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L’articolo sarà online su Industriamoci, il giornale della Uiltec

“L’Industria che salva il Paese”, edito da Tullio Pironti, è il titolo dell’ultimo libro di chi scrive che sarà presentato dalla fine di questo mese a primavera in diverse città e che verrà distribuito presso le librerie della Feltrinelli dalla prima settimana di aprile. È la storia degli ultimi due anni di vita nazionale tra sindacato, industria, istituzioni e politica. L’Italia cresce se gli investimenti pubblici e privati si indirizzeranno verso l’industria. In un modo o nell’altro. È l’unica direzione possibile nel contesto non solo nazionale, ma anche europeo.

“È strategico – ha scritto Carmelo Barbagallo, segretario generale della Uil – che il sistema imprenditoriale italiano metta la persona che lavora al centro di tanta innovazione. Il sindacato vuole l’innovazione tecnologica, desidera guidare i processi che guardano all’incremento della produttività, ma occorre fare tutto ciò puntando sul benessere lavorativo. È trascorso un decennio dal fallimento della banca americana Lehman Brothers, l’evento che ha segnato l’inizio della crisi finanziaria e che ha cambiato gli equilibri nel mondo. Quella crisi cercano di farla pagare ai lavoratori e, in particolare, ai giovani: dobbiamo stare molto attenti e invertire questa tendenza, perché il futuro di noi tutti dipende da loro e dalle opportunità che saremo in grado di ricercare. La Uil è impegnata costantemente a trovare la giusta strada della prospettiva e il libro di Antonello Di Mario offre un contributo equilibrato a questa ricerca”.

Paolo Pirani, segretario generale della Uiltec non ha dubbi: “Occorre cambiare – ha ribadito – il paradigma nelle politiche di sviluppo e innovazione nel senso finora indicato: bisogna creare un rapporto diverso con il territorio, avviando quel piano di opere pubbliche che metta in sicurezza il Paese e iniziando a riconvertire l’industria verso quelle tecnologie che consentano un maggior equilibrio ambientale. Per quanto concerne, invece, le scelte di politica industriale, risulta strategico favorire gli investimenti privati, soprattutto di gruppi stranieri, verso le diverse aziende nazionali che si sono affermate sui mercati esteri e che hanno riportato qui da noi tante produzioni precedentemente delocalizzate all’estero. Addirittura, grandi imprese straniere sono venute a investire in Italia, come dimostrano molti esempi nel campo del settore industriale, in quelli della chimica e della farmaceutica, come in molti altri del comparto manifatturiero. I segnali di ripresa, anche se timidi rispetto agli altri competitor europei, giungono proprio dal succitato versante. E sono gli investimenti privati, in particolare modo quelli provenienti da fuori dell’Italia, che possono costituire il vero carburante per far accelerare il motore della crescita manifatturiera, garantendo immediatamente produzioni e lavoro”.

Enrico Marro, giornalista del Corriere della Sera, nell’introduzione al testo ha sintetizzato i contenuti del testo in questione: “In questo percorso – ha sottolineato – mi ha colpito il fatto che l’autore concentri il suo racconto sulle posizioni dei singoli attori della scena sulle misure concrete: gli esuberi da evitare; la formazione da promuovere; i meccanismi per rilanciare la produttività; come rafforzare gli investimenti pubblici e privati; la prospettiva di una nuova unità sindacale. Una trama di fatti e di tentativi che accadono nel confronto fra le parti sociali (vertenze che si risolvono, contratti che si rinnovano, categorie sindacali che si riorganizzano) senza che nulla di tutto ciò sia scalfito dal frastuono di toni violenti, parole esasperate, slogan vuoti che sembra muovere la fase politica che stiamo vivendo. Come a dire che è la fatica quotidiana di tanti delegati e dirigenti sindacali nei luoghi di lavoro e ai tavoli di trattativa che conta”.

Agnese Moro, socio-psicologa del lavoro ha tracciato le note finali: “Occuparsi di lavoro è difficile – ha osservato – difendere quello che c’è è impresa ardua, moltiplicarlo una meta che tutti vorremmo che fosse raggiunta, anche se nessuno sembra sapere come. Complesso il ruolo del sindacato, intrappolato in un presente un po’ senza respiro; pressante e angosciante perché ci sono di mezzo le vite di persone concrete per le quali il lavoro è l’unica risorsa. Bisogna trovare una strada o delle strade per consentire a tutti non tanto di avere un reddito quale che sia, ma di potersi guadagnare da vivere , come si diceva una volta, e costruire su questo il proprio progetto di vita”. Proprio questo agire continua ad essere il fondamento più sano per mantenere la rotta dell’esistenza di ciascuno.

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