Il ministro dell’Interno è contestato da alcuni esponenti del mondo cattolico per la chiusura dei porti ad alcune navi delle Ong che trasportano migranti provenienti dalla Libia. La tesi è che lo spirito cristiano, al quale lo stesso Salvini si richiama, anche con gesti pubblici, sia tradito dal rifiuto di dare accoglienza ai migranti. Tale opinione non è condivisibile.
La morale cristiana è centrata sull’amore verso il prossimo e sulla solidarietà verso i bisognosi. I migranti sono il nostro prossimo e chiedono aiuto. È possibile declinare il precetto morale in maniera radicale, attestando che il credente debba “sempre” essere amorevole e solidale verso i migranti, offrendo accoglienza e sostegno, a prescindere dalla loro qualificazione come rifugiati o migranti economici e dalle conseguenze del gesto di accoglienza.
Tale impostazione è fondata su un principio astratto e tende a non considerare gli effetti della sua applicazione per l’immigrazione di massa: l’ingresso sul territorio di moltissime persone che, per larga parte, non vengono integrate e restano ai margini della società, spesso in contesti di sfruttamento e illegalità. La carente valutazione di tali esiti negativi, per i migranti e per la società, può viziare la ragionevolezza e la stessa moralità dell’opzione radicale. Sulla base di siffatta impostazione, Salvini non è un buon cristiano, perché chiude i porti alle Ong e non accoglie i migranti, e tanto basta.
È altresì possibile, pur sempre in un contesto religioso, optare per una interpretazione non radicale del messaggio cristiano e, di seguito, reputare che il credente non debba accogliere “sempre” i migranti ma possa valutare con coscienza e prudenza le situazioni caso per caso, cercando “un giusto equilibrio tra il duplice dovere morale di tutelare i diritti dei propri cittadini e quello di garantire l’assistenza e l’accoglienza dei migranti” (parole del Santo Padre nel discorso al Corpo diplomatico nel 2016); promuovendo l’accoglienza “con prudenza” e “nella misura in cui non minacci la propria identità nazionale” (parole del Pontefice alla stampa, dopo i viaggi a Ginevra del giugno 2018 e nei Paesi Baltici del settembre 2018).
Un giusto equilibrio che, per un cittadino credente, significa un bilanciamento di molti fattori: obblighi di solidarietà, tutela dei diritti umani, qualificazione e condizione dei migranti, applicazione delle convenzioni internazionali, limiti ed esiti socioeconomici dell’accoglienza. Tanto più considerando che la vita dei cristiani non è improntata a un’assoluta dedizione al prossimo, tale da subordinare a tale sentimento ogni bene materiale e morale, personale e della comunità di appartenenza; che il cristiano è chiamato alla consapevolezza non solo della sua Fede ma anche della sua cittadinanza, e quindi dei profili politici e giuridici dell’ingresso massivo dei migranti; che l’idea che i migranti siano “sempre” una risorsa non ha riscontri nella realtà; che i limiti dell’accoglienza e dell’integrazione vanno considerati anche dal credente e non solo dal cittadino; che la tutela dei diritti dei cittadini costituisce un valore morale, al pari di quella dei migranti.
Pertanto la scelta di Salvini di chiudere i porti ad alcune navi Ong è moralmente ammissibile in linea di principio, in quanto rappresenta l’attuazione di un bilanciamento tra plurimi fattori. Nel concreto tale scelta può essere condivisa solo se fondata su un equilibrio “giusto” e “prudente” tra i diritti dei migranti e quelli dei cittadini.
Bisogna quindi considerare la situazione concreta e valutare se sia “giusto e prudente”, in una logica cristiana non radicale, attenta alla composizione di interessi e valori, chiudere i porti a navi che, dopo anni di immigrazione di massa via mare, stazionano ai confini marittimi della Libia, con l’intento di prelevare migranti in gran parte economici, gestiti dal traffico di esseri umani, destinati ad ingrossare le copiose fila degli immigrati irregolari e non integrati, in un Paese che ha già oltre mezzo milione di immigrati illegali, nonostante copiose regolarizzazioni e naturalizzazioni.
La valutazione su cosa sia “giusto e prudente” è naturalmente opinabile. Si può tuttavia ritenere corretto che un ministro della Repubblica, attento ai principi cristiani ed eletto sulla base di un chiaro programma sull’immigrazione, operi una consapevole mediazione tra la propensione cristiana ad accogliere il prossimo e l’impegno verso i cittadini, coniugando carità cristiana e responsabilità politica, nel rispetto delle convenzioni internazionali e dei diritti umani; e quindi disponga l’accoglienza per le imbarcazioni che portino rifugiati soccorsi in mare ma valuti la chiusura dei porti per le navi che favoriscono flussi migratori irregolari ed esuberanti le capacità di dignitosa accoglienza e vera integrazione del Paese.
In tal senso la scelta di chiudere i porti ad alcune Ong, sulla base delle informazioni disponibili per il ministro dell’Interno, non appare in contrasto con la morale cristiana e, salvo evidenze contrarie, può risultare giusta e prudente nel bilanciare valori e interessi coinvolti. Se quindi si vuole reiterare una critica ai respingimenti portuali, questa non dovrebbe avere come oggetto la scelta in sé, che appare moralmente ammissibile in una logica cristiana non radicale, bensì la capacità di contemperare, caso per caso, i diritti dei migranti e quelli dei cittadini, cioè di effettuare una ponderazione politica dei valori e interessi in gioco.
Bando quindi alle guerre di religione contro Salvini e attenta valutazione dell’azione di governo, caso per caso, per verificare se la chiusura dei porti a una specifica nave Ong sia stata disposta in violazione delle leggi o dei diritti umani, senza riscontri obiettivi del supporto ai flussi migratori irregolari ed esuberanti i limiti di accoglienza, in assenza di ragioni interne per il contenimento dei flussi, con una palese sperequazione tra diritti dei migranti e dei cittadini. In sintesi, la questione della chiusura dei porti va affrontata sul piano politico e non della morale cristiana.