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Regionalismo differenziato, il governo non dimentichi il sud Italia

Meridione, Regionalismo

“Dopo aver trovato l’accordo con Bruxelles sulla manovra, c’è da chiedersi ora quale sia l’idea d’Italia che le forze di governo vogliono portare avanti”. A domandarselo è Francesco D’Onofrio, ex ministro per gli Affari Regionali, con cui Formiche.net ha parlato del tema del regionalismo differenziato di cui si dovrebbe parlare domani durante il Consiglio dei ministri. “Sul tavolo – spiega D’Onofrio – al di là della parte tecnica su come si possa procedere con l’autonomia delle regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, c’è una questione meramente politica che vede la Lega e il Movimento 5 Stelle muoversi a rilento su un tema estremamente delicato. In gioco c’è il rapporto tra Stato e Regioni, da una parte, e la questione mai risolta della differenza tra nord e sud”. Gli elettorati di Lega e 5 Stelle, infatti, si posizionano storicamente al nord per i primi e al sud per i secondi, ma entrambe le forze stanno provando a espandersi nelle due zone di influenza opposte, ed è per questo, spiega D’Onofrio, che il dibattito si è fermato.

Professore, nel corso di queste settimane sia Matteo Salvini che Luigi Di Maio hanno parlato di una legge sulla autonomie entro l’autunno, e pare che domani il tema approderà al Consiglio dei ministri. Cosa ne pensa?

A dominare nel dibattito politico in queste settimane è stata la trattativa sulla manovra, quindi il tema delle autonomie differenziate per le regioni è stato messo necessariamente da parte. Ora che con Bruxelles si è arrivati a un accordo bisognerà capire se il provvedimento arriverà al Consiglio dei ministri entro breve, come è stato annunciato.

Qual è la partita in gioco, quando si parla di autonomie regionali?

Il tema delle autonomie regionali viene da lontano, anzi lontanissimo. Mi permetta di fare una parentesi, per spiegarle che quando si parla di competenze regionali o dello Stato centrale non si parla di una scelta che non influenza tutto il Paese, ma di una visione complessiva di come si intende l’Italia: una confederazione di stati (che ora sono regioni) più o meno svincolati dallo Stato centrale, che gestiscono il gettito erariale in modo più o meno indipendente. Il divario economico tra nord e sud Italia impone una riflessione su questo, proprio perché dopo la richiesta di Veneto, Lombardia e Emilia Romagna di avere maggiore autonomia, quello che verrà stabilito avrà ripercussioni su tutta la penisola, sulle regioni del sud che storicamente sono svantaggiate rispetto a quelle del nord. A stupire, in questo senso, è che i presidenti delle regioni del mezzogiorno non facciano sentire la loro voce in una partita che li interessa direttamente.

Cosa intende?

Voglio dire che, ad esempio, se il Veneto nelle sue richieste domanda di trattenere il 90% delle imposte in regione, questo si ripercuote anche sulle altre. Si aprono allora diversi ambiti di riflessione: da una parte ci si deve domandare dove va a finire il principio di solidarietà, che è base di uno Stato unitario (insomma, le regioni più ricche “aiutano” quelle più in difficoltà). Dall’altra c’è da chiedersi quale classe dirigente potrà governare delle regioni con sempre meno risorse, se l’autonomia differenziata dovesse realizzarsi così come il Veneto e non solo hanno richiesto. Poi ci sono i vincoli della Costituzione, di cui non si può certo non tenere conto.

Sono i vincoli contenuti nel Titolo V?

Esatto. Ci sono diversi articoli che si occupano di questo tema, a partire dal 116 Cost., in cui si stabilisce che le regioni possono domandare allo Stato maggiore autonomia su temi specifici (stabiliti dall’articolo 119 Cost.) e che questa attribuzione deve avvenire con una legge dello Stato “approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti”, ossia con un procedimento rinforzato. Il che significa, peraltro, che tale legge non può essere abrogata da un referendum, istituto caro al Movimento 5 Stelle ma che in questo caso sarebbe del tutto inutile. La Costituzione, inoltre, non specifica quante risorse erariali possano essere trattenute dalle regioni, per cui la legge di cui parlavo prima dovrà stabilire anche questo, e non si potrà farlo senza tenere conto delle eventuali coperture finanziarie di cui sappiamo essere titolare il ministro dell’Economia. Vede, è tutto più complesso di quanto sembri e su questi temi manca un dibattito serio da almeno dieci anni.

Crede che si dovrebbe aprire un dibattito più ampio?

Come segnalato da alcuni giornali come Il Mattino di Napoli, il punto è che nel contratto di governo stilato da Movimento 5 Stelle e Lega non si fa accenno a questo tema, quindi non c’è un dibattito né una politica comune su come procedere. Non c’è una visione condivisa. In questo senso, è una questione puramente politica che si riflette sugli elettorati di riferimento delle due forze di governo: l’elettorato della Lega è storicamente radicato al nord, ma Matteo Salvini punta ad ampliare i suoi consensi anche al sud. Specularmente, l’elettorato 5 Stelle è principalmente al sud, ma Luigi Di Maio sta cercando di conquistare fasce di elettorato anche al nord. È chiaro, allora, che sul tema delle autonomie le due forze cercheranno di trovare un accordo, ma se non si apre un dibattito più ampio si rischia di procedere con l’autonomia delle regioni che al momento si fanno portatrici di queste istanze – Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna – senza che si tenga conto del riflesso che queste decisioni avranno nel sud Italia. E ripeto, la responsabilità di questo silenzio è anche della classe dirigente che in questo momento, dal sud, non fa sentire la sua voce.

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