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Missili e navi cargo. Così la Russia sta conquistando l’Artico

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Non sempre il riscaldamento globale è una brutta notizia. Lo sa bene la Russia, che all’innalzamento delle temperature nell’Artico deve lo scioglimento dei ghiacci (in un decennio secondo la Nasa il Circolo polare artico si è ridotto del 13%) e l’apertura di una nuova, intrigante rotta commerciale. I numeri sono ancora modesti, ma il potenziale è enorme. Mosca ha rotto il ghiaccio ed è pronta a fare della rotta a Nord un perno del commercio via mare fra Europa ed Asia. Giovedì scorso un voto del parlamento ha consegnato nelle mani di Rosatom, il colosso del nucleare controllato dallo Stato, la gestione pressoché esclusiva della rotta commerciale artica, comprese le infrastrutture e le misure di sicurezza, per i prossimi dieci anni. L’azienda, che è dotata di una flotta di rompighiaccio alimentate ad energia nucleare, sarà affiancata dal ministero dei Trasporti per il controllo amministrativo. A rendere possibile l’accelerata del governo russo, scrive il Financial Times, lo scioglimento dei ghiacci lungo tutto il corso della rotta artica che parte dallo stretto di Bering fra Russia e Stati Uniti e arriva fino alla Norvegia. Un tempo solcata dalle imbarcazioni dell’Unione Sovietica, la rotta ha perso appeal a fine anni ’90 ed è tornata strategica per il Cremlino circa dieci anni fa, quando le prime compagnie russe hanno iniziato a sviluppare progetti energetici e di estrazione di gas e petrolio. La partnership con Rosatom conferma il governo russo come key-player della rotta artica, già utilizzata regolarmente da navi di grandi compagnie russe come Novatek, Gazprom Neft e Norilsk Nickel. Il Cremlino finanzierà il 50% dell’iniziativa, ha riferito al FT Maxim Kulinko, vicecapo del direttorato di Rosatom per la rotta del Mare del Nord. Dal canto suo l’azienda leader del nucleare made in Russia ha già avviato la costruzione di otto nuove rompighiaccio che saranno operative entro il 2030.

UNA NUOVA VIA DELLA SETA?

Se il traffico è ancora molto limitato, specialmente quello delle imbarcazioni canadesi e statunitensi, in molti fra gli esperti di geopolitica scorgono nella rotta artica il prossimo terreno di contesa fra le grandi potenze del Nord. La mappa geografica non mente: il passaggio a Nord, una volta in funzione, risparmierebbe alle navi commerciali settimane di viaggio e, riporta il FT, circa un milione di dollari a tratta. A confronto con l’interminabile traversata a Sud, che passa per il (pericoloso) canale di Suez, la prospettiva è molto invitante. E infatti, oltre ai russi, i cinesi ci hanno messo gli occhi sopra già da un po’, a cominciare da Cosco, il campione cantieristico del Dragone che solo due anni fa ha acquistato la quota di maggioranza del porto del Pireo in Grecia, trasformandolo in un motore degli scambi nel Mediterraneo. “La rotta artica può costituire un’appendice non secondaria della Silk Road di Xi Jinping” ­spiega ai microfoni di Formiche.net Andreas Østhagen, ricercatore dell’Arctic Institute e fellow del norvegese Fridtjof Nansen Institute ­– anche se, fatta eccezione per Cosco, i vascelli cinesi sono ancora pochi”. L’accordo fra governo russo e Rosatom, aggiunge l’esperto, “è la prova di un investimento della Russia nella rotta artica che dura da più di dieci anni, al momento non ha rivali nella regione; l’Artico canadese è bloccato perché è pieno di ghiaccio e il passaggio è ostruito, la Russia può sfruttare a suo vantaggio il riscaldamento dei ghiacci. Lo sta già facendo con aziende come Maersk sul lato commerciale, ma anche e soprattutto investendo nell’estrazione delle risorse del sottosuolo, è il caso del mastodontico progetto LNG2 di Novatek per estrarre gas naturale dalla penisola di Gydan a Nord della Siberia”. I numeri parlano: i trivellamenti hanno fatto impennare il traffico negli ultimi tre anni, passato da 10,7 milioni di tonnellate annue (dati Rosatom) nel 2016 a 18 milioni nel 2018.

LA RUSSIA MILITARIZZA L’ARTICO

L’intesa di Rosatom riporta sotto i riflettori anche l’altra faccia della medaglia della rotta artica, quella militare. Il numero di navi russe che attualmente si avventura fra i ghiacci del Nord per commerciare con l’Asia e l’Europa è modesta, lo è assai meno la mappa di basi di controllo russe che man mano prende forma sulle coste settentrionali mentre i ghiacci si sciolgono e la corsa all’estrazione degli idrocarburi attira le mire di nuovi Paesi. Alle basi si aggiungono un Commando Artico, quattro brigate di combattimento, 14 nuovi aeroporti militari, più di 40 rompighiaccio. Poco se messo a confronto con la presenza sovietica negli anni ’80. Molto se paragonato all’impegno degli Stati Uniti nella regione: c’è solo una rompighiaccio superstite, le altre sono in manutenzione. Non a caso solo un anno fa l’ex segretario della Difesa Usa James Mattis aveva parlato di “passi aggressivi” del Cremlino per ottenere la supremazia sulla regione artica. “Non è un mistero che la Russia stia militarizzando l’Artico” – spiega a Formiche.net Paolo Alli, già presidente dell’Assemblea parlamentare della Nato – lo scudo formale è quello delle basi di research and rescue (ricerca e soccorso, ndr) per aiutare le navi intrappolate nei ghiacci a causa dei repentini cali della temperatura, è noto però che in queste basi viene installato materiale militare”. “La Nato sta seguendo molto attentamente le evoluzioni nell’Artico, da quelle coste potenzialmente la Russia può colpire tanto il Canada quanto l’Alaska”. Non meno assertiva la strategia cinese, prosegue Alli. “La rotta a Nord può diventare una terza cintura della Via della Seta, ma prima i cinesi dovranno essere sicuri di riuscire a sedere nel Consiglio Artico. L’interesse per la tratta settentrionale è confermato dalle numerose concessioni minerarie in Groenlandia, terra ricca di giacimenti naturali, e dalla strategia diplomatica perseguita: non a caso la più grande ambasciata cinese in Europa si trova a Reykjavík, in Islanda”.

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