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Vi spiego perché sulla Tav si rischia lo stand by

maroni, nord

È stata grande la partecipazione di ieri a Torino alla manifestazione dei No Tav. Giunti dalle valli del Piemonte interessate al passaggio della linea Torino-Lione – ma anche da altre regioni nelle quali sono in corso iniziative contro altre opere pubbliche – i manifestanti hanno riproposto i loro slogan contrari alla realizzazione di un’infrastruttura che, invece, un sondaggio di Nando Pagnoncelli pubblicato di recente sul Corriere della Sera, incontra il favore della maggioranza degli italiani.

La piazza delle “Madamine” era stata riempita in larghissima misura da Torinesi mobilitati in otto giorni, mentre i No Tav si erano attivati da settimane facendo giungere nel capoluogo torinese decine di corriere e auto provenienti da tutta Italia. Oggi Salvini ha incontrato i rappresentanti delle associazioni che organizzarono la manifestazione pro Tav. Si sarà limitato ad ascoltare e a prendere nota di ciò che esse chiedono con forza, ovvero la costruzione delle grandi infrastrutture previste nel Paese, senza però assumere impegni precisi come leader della Lega? Avrà risposto rimettendosi ai risultati dell’analisi costi-benefici che è in corso al ministero delle Infrastrutture? O al contrario con parole inequivocabili avrà detto che la delegazione del suo partito al governo e la sua rappresentanza parlamentare farà realizzare la Tav e tutte le altre opere? Difficile, a nostro avviso, ipotizzare quest’ultima risposta, anche perché – come ha ribadito ieri nella grande manifestazione di Piazza del Popolo, il governo gialloverde dovrebbe durare cinque anni: e pertanto tenderà a privilegiare la stabilità dell’esecutivo – nel quale i ministri pentastellati si dicono contrari a quelle opere – che non l’attuazione di quanto richiesto dalle associazioni di categoria.

E infatti: “Sono favorevole a nuove infrastrutture da nord a sud e sono favorevole al Tav”, ha detto infatti il vice premier Matteo Salvini nel corso della trasmissione 1/2 in più su Rai Tre aggiungendo tuttavia che “c’è un contratto di governo, stiamo aspettando l’analisi costi benefci sul Tav”.

L’incontro perciò – salvo pur auspicabili clamorose smentite – pare esser risultato interlocutorio, lasciando deluse le associazioni e costringendole ad intensificare gli sforzi e ad allargare il fronte per imporre la svolta di cui il Paese ha profondamente bisogno. Un’ultima considerazione: la Cgil ieri era in piazza a Torino con i No Tav. Ma era la Cgil locale, regionale o quella nazionale? Se così fosse, se cioè fosse stata la dirigenza nazionale di quel Sindacato a volerne la presenza, sarebbe francamente incomprensibile questa scelta. La Cgil schierata per un disegno che porterebbe alla stagnazione il Paese, alla chiusura o alla non apertura dei cantieri per le grandi opere e ad una disoccupazione di massa per tutta la filiera delle costruzioni?

Il prossimo anno si celebrerà il 70° anniversario di quel congresso nazionale della Cgil svoltosi a Genova nell’autunno del ’49 in cui il Segretario Giuseppe Di Vittorio lanciò il piano del lavoro come una sfida alle classi dirigenti per ricostruire il Paese e impiegare al meglio i fondi del piano Marshall. Un grande disegno il suo – poi approfondito nelle due conferenze economiche dei primi mesi del 1950 – ad avviso di chi scrive ancora di scottante attualità, almeno sotto il profilo metodologico, che i dirigenti (attuali e futuri) della Cgil dovrebbero andarsi a rileggere.

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