Fare un passo indietro per farne uno in avanti. Anche questa è politica, forse nella sua migliore espressione. Arriva un momento nella vita in cui bisogna armarsi di bilancia e valutare se il peggio pesa più del meglio. E pazienza se il prezzo è mettere da parte mesi di teorie e analisi, quelle si possono sempre rivedere, limare. Meno male che qualcuno nel governo gialloverde, l’ha fatto. Qualcuno come il ministro per gli Affari Europei, Paolo Savona artefice di un quanto mai provvidenziale effetto domino interno all’esecutivo che ha avuto come risultato quello di sbloccare l’impasse tra Roma e Bruxelles.
Diciamolo, accollarsi una procedura di infrazione, del costo di svariati miliardi (fino allo 0,5% del Pil), con lo spread costantemente a ridosso dei 300 punti base, i patrimoni bancari sotto pressione, gli imprenditori in piazza e con prospettive di crescita inchiodate allo zerovirgola, non era saggio, ma diabolico. Avrebbe significato portare il Paese dritto sugli scogli, condannandolo a una nuova decade di declino. Per questo, nel momento di scoprire le carte, quando a fronte di una proposta italiana di deficit al 2,04% Bruxelles chiedeva altri 3 miliardi di tagli al contratto legastellato (pensioni e reddito su tutti, oltre a un robusto piano di cessioni immobiliari) qualcuno ha deciso di gettare la spugna affermando che sì, l’Europa sarà anche brutta sporca e cattiva ma è sempre meglio dell’isolamento in una cella imbottita.
Il primo, e forse è proprio questa la notizia, sarebbe stato proprio Savona, teorico della riscrittura di Maastricht e della crescita come unica possibilità di sopravvivenza, dentro o fuori le regole europee è solo un dettaglio. L’uomo che mise una certa paura a Sergio Mattarella, che, quando gli fu presentata la lista dei ministri con Savona al Tesoro, chiese (e ottenne) il cambio con il più moderato Giovanni Tria. I dubbi di Savona hanno finito col contagiare in poco tempo i due soci del governo, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, che la procedura di infrazione l’avevano messa in conto da un pezzo. Nel momento in cui Savona ha per primo invitato l’esecutivo a valutare la possibilità di un ripiegamento dopo sei mesi da infarto sui mercati, ai due vicepremier devono aver cominciato a tremare le gambe, col risultato di rafforzare il partito dei moderati, Tria-Conte-Moavero, che l’intesa con l’Ue la voleva a tutti i costi e alla fine l’ha ottenuta.
Anche perché con ogni probabilità Salvini e Di Maio hanno fatto un calcolo. Al netto dei sondaggi che vogliono gli italiani sempre più in allarme per il cattivo andamento dell’economia, hanno capito che con il ministro tradizionalmente più critico verso l’Europa disposto a rivedere la teoria del deficit come motore della crescita, l’onere della recessione sarebbe passato quasi interamente in carico a loro. Ne sarebbe valsa la pena?