“Non vi è dubbio che l’annuncio del ritiro dalla Siria da parte degli Stati Uniti stia di fatto sbloccando lo stallo che si registrava nel Nord Est della Siria”, commenta con Formiche.net Matteo Bressan, analista della Nato Defence Collage Foundation, docente di Relazioni internazionali presso la Lumsa, uno degli esperti italiani che segue da più tempo la crisi siriana.
Ora il nodo – molto geopolitico – si dipana proprio attorno alla porzione di territorio che corre lungo il confine settentrionale che divide la Siria dalla Turchia: aree liberate nel corso degli ultimi tre anni dall’occupazione dello Stato islamico, attraverso l’azione congiunta dei curdi siriani e delle forze della Coalizione internazionale a guida americana. Quali sono gli equilibri in ballo? “Di fatto, alla luce delle forze sul campo, quell’area avrebbe rappresentato un possibile terreno di scontro tra Damasco, Iran, Russia da una parte e Stati Uniti dall’altra, ben più preoccupante rispetto alla realtà di Idlib (l’enclave ribelle all’interno della Siria, ndr). Il tema del ritorno di quella porzione di Siria sotto il controllo di Damasco avrebbe reso sempre più difficile la posizione statunitense, considerata da Teheran e Mosca una presenza illegittima”.
Ma l’assenza americana non potrebbe indebolire la lotta al Califfato? “In effetti si lasciano aperti molti interrogativi sulla strategia di contrasto alle restanti milizie dell’Isis e sul fatto che la risposta militare non sia l’unico strumento per evitare un possibile ritorno di forme d’insorgenza come quelle conosciute sino ad oggi. Se infatti è probabile che gli Usa continueranno ad esercitare la loro influenza nell’area tramite la presenza in Iraq e quindi potranno ancora, con un limitato uso della forza, colpire le residue forze jihadiste, restano dubbi sul ben più complesso processo di stabilizzazione tanto in Siria quanto in Iraq”.
Quali sono i rischi? “La stabilizzazione è un processo che se lasciato gestire ad attori locali, non sempre percepiti benevolmente, può produrre ulteriore instabilità. La mossa di Trump (il ritiro dalla Siria, ndr) sta pertanto accelerando un possibile nuovo assetto tra Damasco e curdi che, esposti alle possibili azioni militari della Turchia, potrebbero essere obbligati a trovare un accordo con Assad”.
Il ritiro americano e le sue conseguenze si sovrappongono a un altro allineamento. In questi giorni Kuwait e Bahrein hanno fatto sapere di voler riaprire le loro sedi diplomatiche a Damasco, dopo la chiusura legata dal conflitto, in conseguenza al regime punitivo imposto al regime siriano. Una decisione che segue altri passaggi, e anticipata dalla riapertura dell’ambasciata siriana degli Emirati Arabi (anche se Abu Dhabi non aveva mai chiuso del tutto le relazioni con Damasco). Ci troviamo davanti a una fase di normalizzazione del rais Bashar el Assad? “Assad, anche grazie al sostegno di Mosca, sta normalizzando i rapporti con i paesi arabi, e ciò emerge dalla riapertura dell’ambasciata emiratina a Damasco, così come dal possibile reintegro della Siria nella Lega Araba.
Il gioco è dunque in mano alla Russia adesso? “Diciamo che sono segnali che potrebbero confermare la strategia di Mosca di puntellare il processo negoziale di Astana con una normalizzazione dei rapporti con i paesi del Golfo, Arabia Saudita in primis, per bilanciare l’influenza della Turchia e dell’Iran in Siria. Un assetto post-conflict che vedrebbe di fatto la Russia nella posizione di forza e di garante anche di Israele, nonostante le tensioni degli ultimi mesi”.