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Trump vuole gli Usa fuori dalla Siria. I dubbi del Pentagono

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“L’esercito americano si sta preparando a ritirare le proprie forze dalla Siria”. Dalle pagine del Wall Street Journal la notizia rimbalza nelle casse di risonanza internazionali, segnando un brusco cambio di indirizzo nella strategia militare statunitense in Medio Oriente. Le fonti sarebbero sicure; dei funzionari vicini al dossier in questione che avrebbero, dunque, iniziato ad informare i propri partner delle Forze democratiche siriane (Fds), milizie curdo-arabe attive nella Siria nord orientale. Una decisione che, da quanto si legge sempre sulla pagine del Wsj, che fa seguito a una chiamata intercorsa nei giorni addietro, tra il presidente Donald Trump e Recep Tayyip Erdogan. Quest’ultimo, in particolare, avrebbe minacciato di lanciare un’offensiva a est della città di Manbij, sul fiume Eufrate.

Erdogan, bisogna ricordarlo, si era già fermamente opposto al partenariato americano con le forze curde in Siria, considerate da Ankara come una forza terroristica intenzionata a destabilizzare la Turchia. Anche se, in ogni caso, gli Stati Uniti si sono affidati proprio alle forze curde per combattere (efficacemente) lo Stato Islamico in Siria. Inoltre, avvisaglie di un possibile ritiro delle forze Usa dal nordest della regione siriana erano emerse già lo scorso 17 dicembre, quando l’inviato speciale James Jeffrey, in un intervento all’Atlantic Council a Washington aveva osservato come il sostegno ai gruppi armati fosse solamente “temporaneo”.

Non abbiamo relazioni permanenti con entità sub-statali”, ha aggiunto, sottolineando, quindi come il legame statunitense con le Fds fosse legato solamente all’obiettivo specifico di sconfiggere l’Isis. Come analizza il Wsj: “Gli Stati Uniti hanno cercato a lungo di conciliare i due obiettivi apparentemente incompatibili. Da un lato Trump ha spinto a ritirare tutte le forze statunitensi dalla Siria, dove più di 2.000 membri del servizio stanno lavorando a fianco dei militanti siriani per sconfiggere lo Stato islamico. Dall’altro, ha abbracciato una strategia che chiede alle forze americane di rimanere in Siria come deterrente alle grandi ambizioni militari dell’Iran”. Un dualismo, dunque che ha sollevato più di una polemica.

La decisione infatti non avrebbe convinto il Dipartimento della Difesa, guidato dal segretario Jim Mattis, che starebbe cercando di farlo ritornare sui suoi passi; al Pentagono, infatti, sono convinti che una tale inversione di marcia nella politica di sicurezza nazionale del Paese comporterebbe la cessione effettiva del timone di influenza in Siria alla Russia e all’Iran.

Lo stesso Jeffrey, in effetti, a fine settembre aveva dichiarato: “Gli americani resteranno in Siria finché lo farà l’Iran”, avevo detto l’inviato Usa, aggiungendo: “Noi non parliamo con gli iraniani, ma sappiamo molto bene quello che fanno”. Dunque, una delle criticità che emergono riguardo l’iniziativa Usa è proprio la necessità di non lasciare il Paese in mano a Teheran. Insieme anche alla volontà di non perdere i contatti di intelligence con quel territorio.

“Ci sono molti modi in cui possiamo essere sul campo. Siamo certamente sul campo diplomaticamente”, aveva continuato Jeffrey: “Noi non vogliamo forzare gli iraniani fuori dalla Siria e non vogliamo che i russi li forzino fuori dalla Siria” perché questo implica l’uso della forza: quello che faremo è esercitare “pressione politica”. È “nostra aspettativa” che il governo siriano, “qualunque governo sia presente alla fine di questo processo politico, o ad un certo punto del processo politico, non sentirà più il bisogno di avere forze iraniane nel paese, in particolare forze iraniane che sembrano essere lì per scopi diversi dall’aiutare il regime siriano”.

“Più di ogni altra cosa, questo è un insulto straordinario ai recenti sforzi dell’ambasciatore Jeffrey”, ha scritto su Twitter Charles Lister senior fellow e direttore del Countering Terrorism and Extremism Program al Middle East Institute, anche lui preoccupato della presa di posizione del presidente. Ha aggiunto: “Non posso sottolineare abbastanza quanto questa decisione si rivelerà ingenua. Tutto ciò per cui gli Stati Uniti hanno combattuto in Siria sarà stato sprecato. Torneremo tra qualche anno, al massimo”. Dal canto suo, Trump ha affidato il suo commento lapidario anche in questo caso a Twitter: “Abbiamo sconfitto l’Isis in Siria, la mia unica ragione per essere presente in quel luogo durante la presidenza Trump”.

Il ritiro, dunque, arriva nel bel mezzo mezzo delle preoccupazioni per la continua influenza dell’Iran in Siria. E proprio la squadra di sicurezza nazionale del capo della Casa Bianca, si legge sempre sul Wsj, avrebbe respinto e persuaso il presidente ad abbracciare una strategia aperta che avrebbe fatto in modo che lo Stato islamico non potesse risorgere – usando i militari come leva per costringere l’Iran a ritirare le sue forze dalla regione siriana.



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