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2018, tante immagini indelebili, ma una sola via d’uscita: lo sviluppo

È stato un anno difficile quello che ci lasciamo alle spalle. Un anno in cui le incognite sono decisamente maggiori di ogni possibile e relativa certezza. Terminato in una bagarre antidemocratica senza precedenti, che ha decretato la morte di qualsiasi ipotesi di “democrazia governante”. Il tema su cui si erano spesi politici di razza e costituzionalisti engagé. Le giustificazioni postume hanno lasciato il tempo che hanno trovato. Non si è arrivati all’annullamento di ogni verifica parlamentare per uno scherzo del destino, ma per un’insipienza complessiva. Come mostrano le immagini, che rimarranno indelebili, di Luigi Di Maio che, dal balcone di Palazzo Chigi, sfida l’Europa. Considerata una perfida matrigna da strattonare.

Un anno finito male, e che rischia di iniziare peggio. Con Moscovici, pugno di ferro in guanto di velluto, che avverte: “Vigileremo attentamente sull’esecuzione della legge”. Parole pesanti come pietre, che dimostrano l’avvenuto trasferimento di sovranità dalle stanze del Parlamento ai palazzi della Commissione europea. Con l’esproprio non solo delle funzioni deliberanti, ma dello stesso controllo democratico. Che in effetti non esiste più da quando le legioni della maggioranza non rispondono più alla propria coscienza, ma agli ordini dei propri capi politici. Una mutazione che sarà certificata nel momento in cui si porrà mano (se mai avverrà) alla modifica dell’articolo 67 della Costituzione. Rendendo obbligatorio il mandato imperativo. Nessun parlamentare rappresenterà più la nazione, ma sarà costretto a seguire le orme di colui che avrà il potere di compilare le liste della prossima campagna elettorale.

Mario Draghi, nel suo intervento alla scuola di Sant’Anna, aveva denunciato, con forza, il “fascino esercitato da regimi illiberali”. La variante italiana è insolita, anche da questo punto di vista. Non sacrifica la democrazia, per una maggiore efficienza, ma si limita a trasferire su altri l’effettivo potere di indirizzo. Ha voglia Giuseppe Conte a ripetere ossessivamente che la “manovra del popolo” è stata scritta dal governo. In Italia si è discusso di decimali. Su come ripartire le scarse risorse che l’Europa ci concedeva. Ma la politica economica, quella con la “p” maiuscola, è stata dettata altrove. È stata la Commissione europea a decidere se la manovra doveva essere espansiva o, recessiva, come in effetti è stato. Basti guardare al progressivo ridimensionamento del possibile tasso di crescita dell’economia, nell’intero prossimo triennio.

Siamo nella condizione in cui versano i nostri figli minori. Hanno diritto ad una paghetta settimanale che possono spendere come vogliono. Ma non possono pretendere di più. A contenerne le relative esigenze sono le disposizioni decretate dal padre-padrone. Risorse, peraltro, destinate a diminuire. La Commissione ha, infatti, imposto un forte aggravamento delle clausole di salvaguardia, per gli anni a venire. Se non vorremo avere un drammatico aumento dell’Iva (13 per cento, quella agevolata e 26,5 per cento quella ordinaria) dovremmo trovare risorse pari a 50 miliardi, nel 2020 e nel 2021. Un cappio al collo di una economia fin troppo sfibrata.

Vi sarebbe una via d’uscita: impegnarsi maggiormente lungo la strada impervia dello sviluppo. Seguire l’esempio di tante famiglie italiane che, dal 2011, hanno abbandonato vecchie posizioni di comodo ed hanno cercato, per la prima volta, un lavoro. Quasi un milione e mezzo di persone, in prevalenza donne, che hanno fatto crescere il tasso di attività della popolazione italiana. Anche se non tutte hanno trovato ciò che cercavano, ingrossando le fila della disoccupazione. Ma se il mercato del lavoro, dopo il “decreto dignità” diventa più rigido. Se gli investimenti, come certificato dallo stesso quadro programmatico diffuso dal governo, si riducono. Se la pressione fiscale – risibili le contro-deduzioni del Presidente del Consiglio – cresce, invece di diminuire. Se succede tutto questo, l’equazione del possibile sviluppo diventa irrisolvibile.

Questa, quindi, la prospettiva. Forse non è visibile ad occhio nudo. I 5 stelle continueranno a parlare di “terrorismo mediatico e psicologico” salvo poi fare marcia indietro e cercare di cancellare ogni traccia dal proprio blog. Ma alla fine la realtà è più forte di qualsiasi tentativo di manipolazione. Ed il momento della verità è dietro l’angolo. Quando si tratterà di andare a votare per le prossime elezioni. Giorno in cui ciò che si è seminato in mesi e mesi di cattiva gestione produrrà, com’è probabile, i suoi frutti avvelenati.


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