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Tav? Molto più di una grande opera, ma non chiamatelo partito. L’opinione di Canavesio

Molto più di una semplice adunata di piazza. Molto più di uno slogan. L’Italia del sì (alla Tav, ma non solo) è un movimento culturale, quello che sui manuali di scienza politica si chiama maggioranza silenziosa. Ci sono troppi indizi per non convincersi del fatto che la Tav sia qualcosa in più di una grande opera. Tutto è cominciato il 9 novembre con la piazza di Torino, poi Milano con gli artigiani e ancora Verona, sabato. L’intero settentrione italiano si è improvvisamente destato nel nome di uno sviluppo che da molto tempo non è più un optional. Un’onda d’urto talmente forte che persino dentro al governo se ne sono accorti. Davide Canavesio, torinese, è uno di quelli che il 9 novembre in piazza c’era. Imprenditore, membro del comitato di sviluppo di Confindustria e docente di management ed economia, Canavesio spiega a Formiche.net che cosa significa oggi parlare di Tav, Tap o Terzo Valico che sia.

Torino, una piazza e una ferrovia. Canavesio, che significa?

Faccio una premessa. Non sono uno che scende in piazza a protestare. Forse perché non ho mai creduto che una manifestazione in piazza potesse cambiare le cose. A questo ho sempre preferito il ragionamento pacato e basato sulle analisi e i dati. Ma…

Ma…?

Stavolta è stato diverso. La Tav, ma potremmo chiamarlo anche Terzo Valico o Tap o Gronda di Genova, rappresenta un movimento culturale, qualcosa che si muove. Perché il punto di partenza è esattamente questo: dello sviluppo noi abbiamo bisogno, punto. Per questo ero in piazza. Il dramma è che oggi questa non è più una certezza. Provo a spiegarmi. Una volta, fino a non molti anni fa anche se cambiavano i governi lo sviluppo di una Nazione, in questo caso la nostra, non era messo in discussione. Anzi, si procedeva speditamente, basti guardare alle autostrade negli anni 60-70. Ma oggi c’è stato un contagio da parte del nimby.

Un nimby formato Palazzo?

Certamente. Qualcosa che da minoritario è diventato maggioritario. Da locale a centrale. E così il dire di no si è trasformato in decisioni di governo, o meglio di una parte di esso. Il che a sua volta ha innescato un grande movimento di gente, imprenditori, lavoratori e partite Iva che hanno deciso di non rassegnarsi alla cosiddetta decrescita felice. Le faccio un esempio: in piazza, a Torino, ho visto imprenditori che fatturano 800 milioni di euro. Ora non mi venga a dire che stava lì perché ne aveva bisogno. Si tratta della dimostrazione pura e semplice che in ballo non ci sono gli interessi delle imprese, o di pochi, ma quelli nazionali. C’è una bella differenza…

Bloccare la Tav significherebbe dare un pessimo esempio all’estero…o no? 

Altroché ma il punto è anche un altro. Noi lo sappiamo che se facciamo la Torino-Lione di fatto creiamo le condizioni per un corridoio ferroviario, verso est, che può arrivare fino a Budapest. Ci rendiamo conto di quale opportunità stiamo parlando. Questo governo si è pressoché dimenticato della nozione ‘sviluppo’.

Ieri a Strasburgo Lega e Cinque Stelle si sono spaccati, proprio sulla Tav. I voti del Carroccio hanno affossato un emendamento del Movimento per privare la Tav dei finanziamenti Ue…

Non mi stupisce. C’è un partito che rema contro lo sviluppo è poi c’è il piglio decisionista della Lega. Per questo credo proprio che si rischi la spaccatura. Anche perché il Carroccio, non dimentichiamolo, ha un bacino elettorale ben preciso, quello della produttività. Piegarsi al Movimento Cinque Stelle sarebbe un boomerang per Salvini. L’altra faccia del governo, quella verde per intendersi, non potrà piegarsi alla decrescita felice.

Se le dico gilet gialli?

Le rispondo che c’entra poco o niente con il nostro discorso. Lì c’è violenza, disordine, questo è un movimento di rabbia ma pacifico. Direi quasi di gente mortificata. Ecco, noi siamo gente mortificata che scende in piazza.

Potremmo chiamarlo un partito dello sviluppo…

Non credo sia il caso di dare connotazioni a questa grande esperienza. Che, voglio dirlo, ha anche un suo rammarico. Per esempio l’assenza di giovani. In piazza ce ne erano pochi e sa perché? Perché oggi è passato il messaggio che i soldi pubblici servono solo a dare tutto a tutti e anche subito e questo magari ad alcuni piace. Basta pensare al reddito di cittadinanza. E invece i soldi servirebbero solo per una cosa: investire.

 

 


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