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La tempesta in Francia, Gran Bretagna e Italia mette a nudo tutti i limiti dell’Unione

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Le burrasche che stanno attraversando l’Europa sono sempre più forti. Sempre più forte è il vento di tempesta che sferza il Vecchio Continente. La rivolta che è scoppiata in Francia, il braccio di ferro in corso tra il governo italiano e la Commissione europea sull’ipotesi di sforamento dei parametri di Bruxelles, la Brexit che ha bloccato la politica e le istituzioni inglesi, rappresentano gli ultimi eventi che pongono, in maniera sempre più preoccupante, il problema della tenuta del progetto di unità europea.

Il pericolo che abbiamo più volte, anche recentemente, avvertito con preoccupazione è, da qualche tempo, di dominio comune. Parlare di rottura non è più un tabù e quel processo che, fino a qualche tempo fa, era universalmente considerato irreversibile è messo seriamente in discussione. L’Unione europea era nata con l’obiettivo di difendere e allargare la democrazia partendo da quelle dei suoi membri fondatori. È difficile non vedere – e sono sempre di più gli illustri commentatori che se ne accorgono – che proprio il tema della democrazia è oggi il problema dei problemi nato con la scelta di puntare tutto sulla creazione dell’unione monetaria senza aver neppure avviato il processo di unione politica. Una scelta che ha prodotto, a cominciare da quella con la Grecia, una lunga serie di crisi. Certo, la crisi economica e finanziaria scoppiata nel 2007 non ha certo aiutato ma poteva, al contrario, essere un banco di prova e non lo stato.

Lo scontro tra il governo italiano e le autorità della zona euro per le dimensioni del deficit del bilancio italiano è emblematico e può essere preso come chiave di lettura anche delle altre crisi, in quanto dimostra la difficoltà dell’Ue di porsi efficacemente e realmente sul terreno democratico. La coalizione del governo italiano, pur con tutte le sue contraddizioni interne, ha vinto le elezioni su precise promesse fiscali e di spesa in netta discontinuità con le politiche di rigore dei precedenti governi di centrosinistra. Il rispetto di quelle promesse – poco importa se condivisibili o meno – significa maggiore deficit e, quindi, messa in discussione degli impegni presi dai governi precedenti con la Commissione europea, nonché violazione dei trattati istitutivi della stessa zona euro. Un braccio di ferro che, comunque andranno le cose, rappresenterà un’ulteriore indebolimento dell’Unione.

La maggioranza degli elettori italiani come accetterà il controllo europeo sulla politica italiana? Come reagirà alle promesse non rispettate? Ma come farà il governo a rispettare quelle promesse visto il ruolo della Banca Centrale Europea nel finanziare il suo indebitamento? È il dilemma di questi giorni. Quello che accade, contemporaneamente, in Francia con la popolarità del governo Macron ridotta ai minimi termini e la rivolta dei “gilet gialli” che infiamma le strade di Parigi, o in Gran Bretagna che, con la Brexit, ha imboccato una strada senza via d’uscita, sono situazioni che, seppur diverse, mostrano l’identico comune problema: il deficit di democrazia dell’Europa monetaria. Un problema che era emerso, suonando come segnale d’allarme troppo rapidamente archiviato, già nella crisi e nel salvataggio della Grecia a cominciare dal 2010.

I problemi, come è del tutto evidente, sono strutturali. Nonostante tale evidenza né le istituzioni europee né gli stati membri riescono ad affrontarli e a proporre possibili soluzioni per salvare l’unità dell’Europa. La convinzione che le soluzioni siano indispensabili presuppone, erroneamente, che vi sia un consenso su ciò che deve essere corretto. Ma così non è perché, al di là di alcune questioni tecniche sull’unione bancaria, rimodellare l’euro è una questione prettamente politica che presuppone profondi cambiamenti che andrebbero accuratamente elaborati e poi, democraticamente, legittimati dai singoli Paesi. Ma per fare questo sarebbe necessaria una cultura politica e una classe dirigente europea all’altezza della delicatezza del momento. A oggi non se ne vede traccia.

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