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Chi ci guadagna dalle nuove (vecchie) tensioni fra Serbia e Kosovo?

Che succede se il Kosovo si dota di un esercito vero e proprio, corroborato da una pronuncia del Parlamento? C’è tensione sul costone balcanico tra Belgrado e Pristina, con quest’ultima che è attesa venerdì prossimo da un passaggio parlamentare significativo ma dai tratti somatici complessi. Perché se da un lato si registra l’aspirazione locale di poter disporre di un esercito, dall’altro ecco fare capolino il malumore serbo e le perplessità della Nato.

VOCI

Il Kosovo, dall’epilogo della guerra del 1999, ha poggiato la costruzione della propria istituzione anche sul ruolo della Nato: nel 2008 ha dichiarato l’indipendenza dalla Serbia ma con le rimostranze di Belgrado che non riconosce Pristina. Un passaggio propedeutico alla comprensione di come i rapporti sociali e politici tra i due versanti si sono composti e scomposti. Il numero 1 della Nato Jens Stoltenberg cassa così l’iniziativa kosovara: arriva “al momento sbagliato”.

Di processo in corso invece parla il comandante della Ksf, generale Rrahman Rama, secondo cui siamo in presenza di “una parte del processo di transizione e possiamo sicuramente dire che siamo un prodotto della Nato”. Aggiungendo che “ci siamo trasformati dai Corpi di protezione del Kosovo (Kpc) a Forze di sicurezza e siamo sotto la responsabilità della Nato” e che l’unanimità nella Nato “è impossibile” in quanto ci sono paesi “come la Spagna che non ci riconoscono” come uno Stato indipendente.

Pollice in su dagli Usa, che per bocca dell’ambasciatore degli Stati Uniti a Pristina, Philip Kosnett, osserva: “È naturale che il Kosovo, come paese sovrano e indipendente, abbia una capacità di autodifesa. Alcune persone nei paesi vicini hanno fissato una certa data che si avvicina molto presto e hanno espresso il timore che l’evoluzione della forza di sicurezza del Kosovo in forze armate possa avere implicazioni negative per la sicurezza. Quello che dirò a questo proposito è che si tratta di un processo che richiederà molti anni. Che il Kosovo ha ogni ragione, ogni diritto ad avere una capacità di autodifesa. Che approvino questa legge o che cambino i fregi sulle spalle del personale ad una certa data, non è la cosa più importante”.

Ci sarebbe già una data cerchiata in rosso, come ammesso alla stampa locale dal presidente del parlamento Kadri Veseli: il 15 dicembre, ovvero il giorno dopo del voto.

STRATEGIE

Ma i 4000 nuovi effettivi stanno provocando subbuglio nel governo di Belgrado e anche tra i 28mila effettivi serbi, già sul piede di guerra dopo l’affaire relativo ai dazi del 100% che il Kosovo ha deciso di applicare sui prodotti provenienti da Belgrado, che a sua volta viene additata da Pristina come responsabile della sua esclusione dalle organizzazioni internazionali, Interpol in primis. Sullo sfondo il rischio di paralisi non solo tra i due paesi ma anche, per riflesso, tra chi è contiguo, politicamente e geograficamente.

Una doppia mossa che potrebbe rivelarsi densa di conseguenze per il presidente kosovaro Thaci e quello serbo Vucic, che per onore di cronaca va detto avevano imboccato la strada del dialogo nell’ultimo periodo. Lo dimostrano le parole del premier Ramos Haradinay secondo cui la creazione di un esercito dell’auto-proclamata repubblica del Kosovo, indipendentemente dai dubbi, “non rovina il rapporto di Pristina con la Nato”. E ancora: “È un processo interno che va in linea con la costituzione più progressiva del mondo”.

Ma poi tutto è sembrato precipitare con una fase più aggressiva e meno diplomatica. Per cui dietro rapporti bilaterali ecco l’ircocervo di alleanze e strategie, che potrebbero determinarsi ed evolversi dopo il voto di venerdì prossimo.

REAZIONI

Mosca ha più volte espresso preoccupazione per la scelta di Pristina. L’ultimo commento porta la firma del ministro degli esteri Lavrov, pronunciato da Milano dove si trovava per un one to one con il ministro degli Esteri tedesco Maas, a margine del Consiglio ministeriale dell’Osce. Secondo Lavrov il caso kosovaro “solleva preoccupazioni”, anche a causa di una destabilizzatione causata dal ruolo di Ue e Nato. “Il principale obiettivo della destabilizzazione resta il Kosovo”, coinvolto in una “frettolosa integrazione nella Nato”.

Più veemente è stata la reazione di Belgrado, che minaccia l’uso della forza. La premier serba Ana Brnabic è stata eloquente: “Spero di non dover essere costretta a mobilitare l’esercito, ma al momento è una delle opzioni sul tavolo dato che non abbiamo intenzione di vedere una pulizia etnica”.

Proteste anche dalla Bosnia Erzegovina, il cui ministro del commercio, Mirko Sarovic, annuncia di voler chiedere l’esclusione del Kosovo dall’accordo di libero scambio Cefta dopo il caso dazi. “Una delle possibili reazioni, se la misura non viene revocata, è di chiedere la sospensione dal quadro Cefta, ma chiederemo anche la sospensione dall’Asa (Accordo di stabilizzazione e associazione con l’Ue)”. Sul punto è in agenda un vertice tra i commissari europei Johannes Hahn e Federica Mogherini il prossimo 17 dicembre.

twitter@FDepalo

 



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