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Se Wall Street non comprende i negoziati di Trump con la Cina

La borsa americana ha reagito malamente, chiudendo in forte calo, ad alcune dichiarazioni della Casa Bianca a proposito della situazione con la Cina. Sussulti istintivi davanti a un quadro che forse gli investitori avevano sperato essere diverso dalla realtà.

L’indice S&P500 e quello tecnologico Nasdaq, i due marker principali del mercato borsistico di Wall Street, martedì hanno perso rispettivamente il 3 e il 3,8 per cento, in una giornata che ha fatto segnare un tonfo sostanziale anche (o soprattutto) collegato a un rapido briefing che il presidente Donald Trump ha diffuso via Twitter a proposito della Cina. Colpi sonori, subiti soprattutto dalle ditte più esposte al mercato cinese: Boeing è scesa del 5 per cento, Caterpillar del 7, la società di produzione di microchip AMD dell’11.

Uscendo dal G20 dello scorso fine settimana, Trump aveva annunciato di aver raggiunto una sorta di tregua con Pechino. Sostanzialmente si tratta di un momentaneo sollevamento dell’acceleratore della politica commerciale ostile seguita finora da Washington, che, sebbene abbia già programmato l’inasprimento delle misure tariffarie per gennaio 2019, ha deciso di mettere il prossimo step dello scontro in stand by, in attesa di nuovi colloqui.

Martedì, Trump è uscito sul suo profilo Twitter personale dicendo di essere “a Tariff man“, l’uomo dei dazi, e di essere intenzionato a proseguire la politica dura sul commercio con la Cina se nell’arco dei prossimi 90 giorni di tregua non riuscirà a chiudere un qualche accordo con Pechino. Niente di nuovo, ma i mercati non hanno apprezzato.

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L’accordo raggiunto a Buenos Aires dopo una cena tra Trump e il suo omologo Xi Jinping, in effetti non era un vero accordo. Si trattava un congelamento temporaneo e unilaterale deciso dagli Stati Uniti – che tra l’altro in Cina è stato ripreso da subito senza troppa enfasi e convinzione. Dal G20 ci si poteva aspettare una qualche pace, che in realtà non c’è mai stata se non sotto forma di tregua. Gli investitori evidentemente avevano colto la situazione in modo disattento, o speranzoso, e dopo le sottolineature di Trump di ieri hanno reagito scomposti.

Nella tregua temporanea uscita dal G20, c’era soltanto il rinvio di tre mesi prima di procedere al rialzo dei dazi dal 10 a l 25 per cento su 250 miliardi di dollari di beni che la Cina esporta negli Stati Uniti e che l’amministrazione Trump ha deciso mesi fa di colpire (la tariffazione al 25 ha già interessato un’altra cinquantina di miliardi prodotti in precedenza). Il succo non era un reale deal tra Trump e Xi, ma il tentativo di riapertura del dialogo negoziale – cosa che è in realtà era piaciuta ai mercati, che avevano momentaneamente scelto di fidarsi, oltre ogni aspettativa.

La borsa americana – ma non solo – ha reagito male alle dichiarazioni del Prez che però altro non ha fatto che sottolineare la situazione, e dunque l’incertezza. Alcuni operatori del mercato finanziario italiano, più accorti di altri, ci spiegano in forma riservata che era chiaro fin dall’inizio che nell’incontro argentino non si erano fatti sostanziali passi avanti, se non la riapertura dei colloqui, che da qualche settimana erano diventati più freddi.

Trump, come sempre accade, è la più potente fonte aperta di se stesso: ha spiegato la situazione in modo perentorio, ha annunciato ufficialmente che i negoziati sono stati già riavviati (affidati alla supervisione di Robert Lighthizer, il responsabile al Commercio della Casa Bianca) e che dalla “calda” cena con Xi è uscito che entrambi vogliono il raggiungimento di un accordo, che però non è detto che sarà centrato.

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Se al G20 c’era – anche per l’esigenze dettate dal contesto – un tono vago e in qualche modo sfuggente, senza dettagli su ciò Trump e Xi si erano detti, martedì il registro della Casa Bianca è cambiato ed è tornato quello del “MAKE AMERICA GREAT AGAIN” (tutto in maiuscolo) con cui Trump ha chiuso uno dei tweet sull’argomento. Esattamente quello in cui spiegava di essere una sorta di McKinley 2.0, aggiungendo che “quando i paesi vengono a saccheggiare la grande ricchezza della nostra nazione, voglio che paghino per il privilegio di farlo. Sarà sempre il modo migliore per massimizzare il nostro potere economico” (e nemmeno questo pensiero è una novità). Con la Cina, dice Trump, “o avremo un vero accordo non ci sarà nessun accordo”.

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