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Trump sta (di nuovo) per licenziare Kelly, il capo dello staff

Aggiornamento delle 20:30. Il presidente Trump ha annunciato ai report che il suo capo dello staff, John Kelly, lascerà l’incarico alla fine dell’anno. Trump ha definito il suo assistente principale “a great guy”, e non ha dato spiegazioni sui perché dell’uscita di scena. La Casa Bianca tempo fa aveva detto che Kelly sarebbe rimasto in carica fino al 2020, ma più volte c’erano state voci sul suo licenziamento. Quello che segue è l’articolo in cui si parlava di come questa volta i rumor su Kelly potevano essere più consistente.

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Secondo tre fonti sentite dalla CNN, il capo dello staff della Casa Bianca, l’ex generale dei Marines John Kelly, starebbe (di nuovo) per dimettersi e lasciare l’incarico per cui il presidente Donald Trump l’ha nominato il 31 luglio del 2017. Uscita prevista “nei prossimi giorni”, e questa volta sembra più vero del solito. Non è la prima volta infatti che girano questo genere di voci su Kelly, che è stato per lungo tempo considerato uno dei normalizzatori che avrebbero dovuto portare la presidenza Trump su un solco più classico, ma ha svolto il suo ruolo non senza tribolazioni e bocconi amari da ingoiare.

Per esempio, in un libro che il famoso giornalista Bob Woodward ha scritto raccogliendo dozzine e dozzine di interviste e documenti – “Fear” è il titolo, è uscito l’11 settembre ed è uno spaccato della Casa Bianca da best seller – Kelly è riportato come molto demotivato, scontento, pentito di aver accettato l’incarico, da cui (dice con un virgolettato ricco di F-word) si sarebbe voluto dimettere già “almeno sei volte”. Un estratto brevissimo e lampante: “[Trump] è fuori di testa, è un idiota, non ha senso tentare di convincerlo di qualcosa, ha sbroccato. Siamo in un manicomio. Non so nemmeno perché siamo qui. E’ il peggior lavoro che abbiamo mai avuto”, parole che Woodward attribuisce a Kelly, dette durante una discussione.

Già dal momento in cui le anticipazioni del libro venivano pubblicate dai vari media americani – quelle di Kelly sono tra le più succose, ma non le uniche – si pensava che quella del generale sarebbe stata una delle prime teste a saltare. Sono passati tre mesi, Kelly è ancora lì, ma voci sulla sua uscita tornano con (maggiore) insistenza.

Negli ultimi tempi, Kelly è stato anche interrogato da Robert Mueller, il procuratore speciale che sta curando per il dipartimento di Giustizia l’inchiesta sulla Russia – quella sulle interferenze alle presidenziali, le possibili collusioni col team Trump e le eventuali ostruzioni al corso dell’inchiesta da parte del presidente. Mueller si sarebbe concentrato proprio su questo: il capo dello staff “ha risposto a una serie ristretta di domande”, dicono le fonti della CNN, e questa è un’altra notizia interessante visto che l’ufficio legale della Casa Bianca all’inizio dell’estate aveva contestato la richiesta del procuratore per l’interrogatorio a Kelly – che non gradirebbe affatto il coinvolgimento nell’inchiesta.

L’aspetto non banale è che mentre la maggior parte dei testimoni sentiti da Mueller erano stati membri del team elettorale del 2016 o della fase di transizione prima dell’Inauguration, Kelly è stato nominato quando già la presidenza era avviata da oltre un anno: è per questo che il procuratore potrebbe essersi concentrato con lui sul filone che riguarda l’eventuale ostruzione alla giustizia del presidente. Trump non perde occasione per attaccare l’inchiesta, d’altronde, e secondo alcuni osservatori questo genere di pressione negativa che il presidente, anche semplicemente attraverso Twitter, mette su un caso giudiziario a suo carico è di per sé un’interferenza.

Sarebbe un modo per non far lavorare sereno il team che sta conducendo l’indagine: ieri, per esempio, s’è capito che qualcosa stava per uscire pubblicamente perché il presidente ha dedicato diversi tweet furiosi contro Mueller, contro il Russiagate, i democratici e contro James Comey, ex direttore dell’Fbi che Trump ha licenziato forse perché stava spingendo troppo in là l’inchiesta (da quel momento il dipartimento di Giustizia, attraverso il vice segretario, decise che il caso andava affidato a un procuratore speciale). Il licenziamento di Comey è una di quelle faccende che, più dei tweet, interessano a Mueller per capire quanto Trump ha fatto, se lo ha fatto, per affondare l’inchiesta.

Ai tempi della vicenda Comey, il capo dello staff non era Kelly, ma Rience Priebus, leader repubblicano di lungo corso, sostituito perché non in grado di mantenere il comando della nave, incarico per cui invece Kelly era considerato perfetto, visto i ruoli militari ricoperti. Le fonti interne alla Casa Bianca hanno detto per mesi ai media americani che il generale aveva riportato ordine, anche semplicemente organizzativo, in una situazione caotica e indisciplinata: ora, stando a quanto scritto venerdì anche dal New York Times, “il signor Kelly e il signor Trump si sono stancati l’uno dell’altro. Ma Trump, secondo diversi alti funzionari dell’amministrazione e persone vicine a lui, non è stato finora in grado di costringere personalmente un generale militare a quattro stelle in pensione a licenziarsi”.

Da diverso tempo si parla anche del suo sostituto: il capo dello staff del vicepresidente Mike Pence, Nick Ayers, è ampiamente considerato colui che prenderà il posto di Kelly; Ayers ha 36 anni, e pare che abbia il sostegno della figlia del presidente, Ivanka Trump, e del genero Jared Kushner, sostegno di cui ha goduto fin da subito anche Kelly, ma che via via s’è logorato.

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