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Trump vedrà Kim. Il Nord non può perdere il treno del dialogo

kim trump

“Il mondo è pronto” ha detto l’ex segretario delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, in un’intervista durante una visita in Giappone riferendosi alla Corea del Nord. Moon, ex ministro degli Esteri sudcoreano conosce il problema, e anche per questo ha inviato un messaggio focalizzato sulla fiducia che Pyongyang deve avere negli altri attori in campo, a cominciare dagli Stati Uniti e dalla Corea del Sud, ma anche Giappone, Russia e Cina. Tutti questi Paesi, secondo le parole dell’ex segretario dell’Onu, vogliono passi concreti e corretti da parte del Nord sul nucleare, per poter allentare la morsa attorno alla satrapia di Kim Jong-un e avviare meccanismi di riqualificazione – “Vorrei davvero consigliare al leader nordcoreano di cogliere quest’occasione”, dice Moon.

I nordcoreani rispondono indirettamente: secondo la Yonhap, agenzia di Seul sempre informatissima su quel che accade nella Penisola Coreana, il governo di Pyongyang potrebbe decidere di far entrare gli ispettori internazionali (sostanzialmente inviati dall’agenzia per il nucleare onusiana) nel centro di Nyongbyon, infrastruttura atomica tra le più importanti della Corea del Nord. Addirittura, secondo l’agenzia sudcoreana, Kim avrebbe annunciato personalmente al presidente cugino Moon Jae-in la disponibilità a chiudere il complesso (dove si trova un reattore e diverse centrifughe, e lo stoccaggio di materiale fissile weapon-grade, ossia uranio e plutonio per scopi militari) se gli Stati Uniti si muoveranno con reciprocità.

Il Palazzo Blu di Seul è sempre piuttosto entusiasta sul dialogo, Moon è colui che ha dato il via al processo negoziale che adesso si muove attorno a Pyongyang, ricostruendo per primo le relazioni col regime (erano i tempi delle Olimpiadi invernali) e poi incontrando direttamente Kim più volte e orchestrando la serie di bilaterali continui attivi tra funzionari delle due Coree. Un esempio dell’entusiasmo di Moon da un commento che arriva dall’ultimo G20, dove si è incontrato con il capo di stato statunitense: il sudcoreano ha detto che a Trump “piace” Kim e che l’americano è pronto a “esaudire tutti i suoi desideri”.

Difficile che possa andare davvero così, per lo meno prima di sostanziali passi in avanti da parte di Pyongyang sul programma nucleare, ma è una contropropaganda con cui Seul difende le posizioni che il presidente Moon sostiene fin dalla campagna elettorale e contemporaneamente combatte le bordate che sui media governativi del Nord attaccano continuamente il processo di pace e dialogo in corso (posizioni dure che sono però necessarie affinché il regime non perda il controllo sul potere interno, molto vincolato al continuo clima di tensione creato dalla satrapia).

Dal G20 argentino che s’è concluso ieri, esce comunque, al di là dello slancio di Moon, la quasi-certezza su un incontro fondamentale per il procedere degli affari coreani, e dunque regionali: quello tra Kim e Donald Trump. Il presidente americano ha annunciato che all’inizio dell’anno prossimo, tra gennaio e febbraio, incontrerà il satrapo nordcoreano per proseguire il dialogo già avviato nel giugno scorso a Singapore (non è una novità assoluta, semmai una conferma di quello di cui si parla da tempo). “Ci intendiamo molto bene. Abbiamo un buon rapporto”, ha detto Trump a bordo dell’Air Force One che lo stava riportando a Washington – le pr dei due paesi avrebbero già individuato tre possibili luoghi per il nuovo vertice, i contatti organizzativi sul nuovo meeting sono avanzati.

Dell’argomento parla anche la Cina, di fatto attore di primissimo piano in campo, l’unico con una presa diretta realistica sul Nord. Pechino cerca di seguire il dossier in modo terzo, prova sempre a mettersi in una posizione super partes da cui muovere i propri interessi. “La Cina incoraggia gli Stati Uniti e la Corea del Nord a lavorare per lo stesso obiettivo, a prendersi cura delle rispettive preoccupazioni legittime e ad avanzare la denuclearizzazione e l’istituzione di un meccanismo di pace nella penisola in parallelo”: è il commento del presidente Xi Jinping, che durante il G20 ha avuto con Trump un incontro dal quale s’è deciso per un rinvio dell’inasprimento dei dazi americani.

Lo scontro commerciale ha visto per il momento un rallentamento, il confronto totale tra Cina e Usa è invece ancora tutto lì e saranno i prossimi incontri a poterne indirizzare la traiettoria, con ovvie ricadute anche sul dossier nordcoreano, su cui da sempre Trump prova a cercare un terreno di collaborazione con Pechino.

Quando Xi parla di “denuclerizzazione” e “istituzione di un meccanismo di pace” dà più o meno la terza versione del concetto: se per gli americani denuclearizzare significa la distruzione del programma atomico del Nord e per i nordcoreani significa la pace col Sud e l’abbandono degli avamposti da parte degli statunitensi (per tutto il resto si vedrà), per Pechino ha un valore ancora più ampio. Per la Cina la permanenza della dimensione atomica di Pyongyang è una questione dissuasiva, a cui potrebbe cedere – ossia, fare pressione sul regime nordcoreano in tal senso – a patto che gli americani decidano di smantellare la presenza militare in Corea e contemporaneamente (cosa che sembra praticamente impossibile) di allentare la postura strategica nella regione del Pacifico; dove però lo scontro geopolitico tra Usa e Cina trova la sua massima misura.

 

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