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I gilet gialli e l’accordo sul clima di Parigi. Un nuovo capitolo del muso duro di Trump con Macron

Il presidente americano Donald Trump è entrato di nuovo oggi, sabato 8 dicembre, nella questione delle proteste dei Gilet Gialli francesi usando ancora come porta d’accesso l’accordo sul clima di Parigi, e sostenendo che i cittadini francesi stanno protestando perché non vogliono pagare “grandi somme di denaro, molto ai paesi del terzo mondo”.

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“L’accordo di Parigi non sta funzionando così bene per Parigi. Proteste e rivolte in tutta la Francia”, ha twittato Trump. “Le persone non vogliono pagare grosse somme di denaro, molto in paesi del terzo mondo (che sono gestiti in modo discutibile), al fine di proteggere forse l’ambiente”. E ha anche detto di nuovo che i manifestanti stavano cantando “We Want Trump!”.

Trump aveva già parlato martedì di cori a suo favore provenienti dai manifestanti francesi: il presidente americano lo usa come uno spot politico contro ciò che incarna Emmannuel Macron, il capo dell’Eliseo con cui aveva inizialmente stretto una sorta di bromance tra leader che però s’è infranto negli ultimi mesi. Trump vede Macron come un concorrente su argomenti fino a quelli di altissimo profilo che riguardano il senso generale delle rispettive visioni politiche: da una parte l’americano è un bilateralista che crede nel ritorno degli stati-nazione; dall’altra Macron, che nasconde il suo nazionalismo supportando formalmente approcci multilaterali e aperti. Trump ultimamente ha stuzzicato su questo aspetto il francese, invitandolo a spostarsi più su visioni trumpiane per recuperare terreno sull’elettorato (Macron ha un approval ai minimi): “Make France Great Again” gli aveva suggerito in un tweet che parafrasava uno degli slogan programmatici storici del trumpismo.

Tuttavia, la questione dei cori pro-Trump durante le manifestazioni che da giorni infiammano le strade di Parigi non è solidissima. Originariamente è stata twittata da Charlie Kirk di Turning Point Usa, organizzazione non-profit di destra finita sotto accusa per aver violato una normativa (la 501-c-3) che impedisce a certe strutture di dare supporto ai candidati politici  — e invece la non-profit di Kirk s’era esposta per raccogliere fondi per vari contender conservatori alle presidenziali, sposando alla fine, dopo altre scelte precedenti, Trump.

Le informazioni di Kirk sui canti della folla parigina per altro sembrano provenire da un articolo che Rush Limbaugh, uno delle star del giornalismo conservatore più agguerrito e noto manipolatore dell’informazione (e molto considerato e apprezzato da Trump), ha scritto su iHeart Radio lunedì. Limbaugh dice che sono stati alcuni suoi amici a dirgli che i Gilet Gialli in Francia cantano cori a favore di Trump. Ma non ci sono troppe altre prove.

Le proteste in Francia si stanno svolgendo perché il governo ha annunciato di voler aumentare le accise sul gasolio e sulla benzina come parte dello sforzo del presidente Macron per ridurre le emissioni in rispetto del Cop-21, ossia l’accordo sul Clima citato da Trump, che il presidente americano odia perché lo considera una forma di parassitismo globalista e per questo ha pianificato di tirarne fuori gli Stati Uniti (che invece sono stati una pedina fondamentale quando la costruzione dell’intesa mondiale ha trovato una quadra, a dicembre del 2015, durante una riunione nella capitale francese).

L’annuncio del governo di Parigi è stato seguito da intense proteste in tutta la Francia, dove alcuni monumenti sono stati vandalizzati da manifestanti e ci sono stati scontri con le forze dell’ordine e dozzine arresti. Per placare gli animi, martedì, il governo francese ha annunciato lo slittamento del suo piano di aumenti (in realtà però la concessione non ha avuto l’effetto sperato, dato che le proteste continuano anche oggi).

Trump in settimana ha parlato altre volte delle manifestazioni francesi, usandole già come giustificazione per la scelta di ritirarsi dall’accordo sul clima, definendolo “fatalmente imperfetto”. Il presidente critica spesso l’accordo e ha ritirato gli Stati Uniti dalla misura internazionale nel giugno 2017, anche se niente sarà effettivo fino a novembre 2020, ossia quando Trump cercherà il secondo mandato.

Trump ha affrontato critiche bipartisan nelle ultime settimane per aver detto di non “credere” ai risultati di un importante rapporto della sua amministrazione che prevede le terribili conseguenze, anche economiche, per gli Stati Uniti collegate ai cambiamenti climatici. Trump ha rifiutato il consenso scientifico sui climate change per anni (storico un tweet nel 2012 in cui diceva che il “concetto di riscaldamento globale è stato creato da e per i cinesi così da rendere la produzione degli Stati Uniti non competitiva”).

In un altro tweet, sempre oggi, ha attaccato l’idea di creare un esercito europeo, tema su cui Macron è capofila. “L’idea di un esercito europeo non ha funzionato troppo bene nella prima e nella seconda guerre mondiali. Ma gli Stati Uniti erano lì per voi, e lo saranno sempre. Tutto ciò che chiediamo è che voi paghiate la vostra giusta quota per la Nato. La Germania sta pagando solo l’1 per cento mentre gli Stati Uniti pagano il 4.3 di un Pil molto più grande per proteggere l’Europa. Equità”.

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L’argomento è noto, e Trump non perde occasione per pressare gli europei sul rispetto dell’accordo del 2014, quando si decise che i membri Nato avrebbero dovuto investire il due per cento del proprio prodotto interno lordo in spese militari. Quello americano è un sentimento di disingaggio che è in piedi da tempo (e sostenuto anche dai predecessori di Trump), che in ottica trumpiana si declina in un concetto America First: gli alleati europei dovrebbero spendere più soldi in armamenti per alleggerire gli Stati Uniti, e magari farlo in tecnologie Made in Usa.

Con Macron c’è stato già uno scontro duro sul tema nelle scorse settimane, quando il francese disse, rabberciando poi con correzioni mal funzionanti, che l’Europa doveva costruire un suo esercito per doversi difendere anche dagli Stati Uniti.

 

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