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Perché Washington è preoccupata per l’operazione turca in Siria

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La Turchia si prepara a iniziare un’operazione militare a est dell’Eufrate in pochi giorni, forse già prima della fine della settimana e Washington risponde subito parlando di grave preoccupazione “per qualsiasi azione portata avanti unilateralmente”.

Ad annunciare l’attacco è stato il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan in persona, che evidentemente vuole sfruttare al massimo la libertà che l’alleato russo gli ha concesso nel nord della Siria e portare avanti la sua battaglia contro la minoranza curda. La motivazione ufficiale, è quella di annientare le milizie dello Ypg, il partito armato curdo che nel nord della Siria controlla ancora territori strategici, nonostante i ripetuti attacchi di Ankara.

I preparativi sono già stati completati, questo significa che l’operazione può iniziare in qualsiasi momento. Nel mirino della Mezzaluna, ci sono soprattutto i territori intorno a Kobane, la città che nel 2014 resistette eroicamente all’assedio dello Stato Islamico, e altri villaggi che si trovano vicino al confine fra Siria e Turchia e che, a detta di Ankara alimentano un vero e proprio ‘corridoio del terrore’. Questo, nonostante la Mezzaluna abbia costruito sul confine un muro lungo oltre 700 chilometri, tanto quanto la frontiera con la Siria, dotato di sistemi radar e di rilevamento di persone od oggetti estremamente sofisticati.

Le parole del presidente sono suonate come un avvertimento a Washington, che Erdogan ha apertamente accusato di aiutare lo Ypg, che gli Usa non considerano un’organizzazione terroristica, quanto un partner strategico, spesso proprio in funzione anti turca. Per rendere più credibile l’operazione, il presidente turco ha anche aggiunto che una presenza turca in una zona dove comunque lo Stato Islamico è ancora attivo è una garanzia per la sicurezza della regione.

Per Washington, invece, è un grosso problema. La Turchia negli anni scorsi è stata accusata di aver stretto un patto di non belligeranza, se non addirittura di collaborazione con Daesh, prima che questo le si rivoltasse contro, e da tempo è sospettata di appoggiare le frange più estremiste ed eversive della cosiddetta opposizione siriana.

Il portavoce del Pentagono, il comandante Sean Robertson, ha detto che l’unico approccio possibile per la sicurezza della regione e del personale americano presente sul territorio, è quello di coordinarsi di continuo con Washington. Ma Ankara sembra determinata ad andare avanti. A modo suo e da sola, in quello che ormai sembra un regolamento di conti.

Erdogan ha già assicurato che nell’operazione non verrà coinvolto alcun soldato americano. Quella del presidente turco è un’azione direttamente contro la minoranza curda, che avviene con un timing ben preciso. A marzo ci saranno le elezioni amministrative e con un’operazione finita da poco il partito curdo in Turchia avrà ancora più difficoltà del solito nel condurre la sua campagna elettorale. C’è poi l’aspetto della comunicazione. L’operazione contro i curdi siriani distoglierà, o almeno questa è la speranza, l’attenzione dai dati economici di fine anno, che si prospettano molto negativi.

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