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Attenti alla nuova guerra fredda economica e ai rapporti con la Cina. Parla Urso

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“È in atto una nuova guerra fredda che si combatte sulla supremazia tecnologica ed economica”. Il senatore Adolfo Urso (Fratelli d’Italia) ne è convinto, eppure il vicepresidente del Copasir (il comitato di controllo sull’intelligence), 61 anni e una lunga esperienza politica, lamenta una scarsa consapevolezza del mondo politico. Riguardo al governo, inoltre, sottolinea un’inversione di rotta sugli investimenti esteri oltre a porsi qualche domanda sui rapporti con la Cina.

Senatore Urso, garantire la sicurezza di uno Stato non significa solo prevenire atti di terrorismo. C’è un nemico nascosto di cui il cittadino difficilmente si accorge. Com’è la situazione sul fronte cibernetico?

In Italia e nel mondo c’è sempre più attenzione su aspetti che in passato non erano così significativi. Anche nella scorsa legislatura il Copasir si occupò di cyber: oggi sono possibili attività di conoscenza che in passato erano impossibili, parliamo sia di penetrazione per acquisire brevetti che di guerra economico-finanziaria. C’è una competizione globale per acquisire patrimoni di conoscenza che prima era meno importante o impossibile.

Più di un mese fa presentò una proposta di legge per istituire una commissione d’inchiesta su quei Paesi e aziende straniere interessati al patrimonio tecnologico e finanziario italiano. Ne parlò anche in un’intervista a Formiche.net.  Ha avuto riscontri dal mondo politico?

L’emergenza dovrebbe essere evidente a tutti i politici perché fu espressa nello scorso febbraio nella Relazione annuale dei servizi segreti al Parlamento: tra i rischi-Paese è evidenziata innanzitutto l’azione predatoria di entità statuali per appropriarsi del nostro patrimonio scientifico, di conoscenza, tecnologico dei principali asset industriali e finanziari. Da quella relazione ho preso le mosse per proporre una commissione bicamerale di inchiesta per valutare quello che sta accadendo e soprattutto per capire se gli strumenti legislativi nazionali, europei e anche internazionali siano adeguati. Eppure non c’è piena consapevolezza del fenomeno.

Su questi temi che segnali arrivano dal governo?

Il governo italiano si è astenuto al Coreper, il comitato dei rappresentanti permanenti dei governi degli Stati membri dell’Unione europea, nella votazione riguardo al Regolamento sullo screening degli investimenti esteri in Europa. In quella sede l’astensione equivale al voto contrario. Il precedente governo, invece, aveva sollecitato quel regolamento con Germania e Francia proprio per monitorare meglio l’attività di imprese straniere interessate a investimenti in Europa nei settori strategici: l’obiettivo è consentire alle nazioni di tutelarsi meglio. L’Italia già lo fa abbastanza, ma i paesi europei più piccoli non hanno gli strumenti adeguati e così quello che noi respingiamo dalla porta potrebbe rientrare dalla finestra. Alla fine, comunque, il regolamento è stato approvato e consentirà ai singoli paesi di avere informazioni più tempestive in modo da assumere, nella propria sovranità, misure a protezione delle proprie imprese e tecnologie. Rilevo, però, che l’Italia da una posizione nettamente favorevole è passata a un’astensione che significa voto contrario.

La Commissione europea ha appena lanciato un allarme sull’attività di disinformazione che sarebbe attuata dalla Russia con un investimento di 1,1 miliardi di euro l’anno e 1.000 persone impegnate. Pur nella delicatezza del suo incarico, può commentare questa denuncia ufficiale?

È noto a tutti che la tecnologia consente campagne di questo tipo da parte di diversi attori, anche statuali, e sappiamo che in passato ci sono state attività di spionaggio perfino tra alleati. Una campagna di ascolto e informazione o disinformazione è uno degli strumenti più diffusi. Occorre rendere edotti i cittadini, avviare campagne di controllo e di protezione. Per esempio pensiamo alla fatturazione elettronica che sarà obbligatoria dal 1° gennaio: ho letto pareri di esperti secondo cui il sistema previsto consentirebbe potenzialmente di carpire informazioni di cittadini e imprese. Basti pensare al recente attacco hacker agli indirizzi Pec delle Poste. Non è stata fatta un’adeguata attività di prevenzione nella costruzione di questo sistema. Il tema costituisce il fronte dell’oggi e del futuro: i dati sensibili di cittadini, imprese, Stati.

È una guerra con altre armi.

Il tema meno evidente e più importante è quello della supremazia economica. Siamo di fronte a una nuova guerra fredda che si combatte sulla supremazia tecnologica ed economica, come evidenzia lo scontro pubblico tra Usa e Cina che in realtà è tra Occidente e Oriente. Di questo non c’è sufficiente consapevolezza da noi nonostante che l’Italia sia terreno di scontro perché è terreno di incontro: pensiamo alla via della seta marittima o in genere al Mediterraneo. L’Italia rischia dunque di diventare preda di questa nuova guerra fredda.

Può fare un esempio concreto?

La vicenda della Permasteelisa riportata dal Sole 24 ore. È un’azienda italiana con sede a Vittorio Veneto, da qualche anno di proprietà giapponese, che è leader mondiale nella realizzazione di pannelli di vetro e acciaio. La Commissione per gli investimenti esteri negli Stati Uniti (Cfius) ha bloccato il passaggio ai cinesi della Grandland con cui erano in trattative da tempo. L’autorità americana ha competenza giuridica perché l’azienda italiana ha uno stabilimento negli Usa. La motivazione ufficiosa è il timore che i cinesi inseriscano dei microchip nei pannelli avviando uno spionaggio su scala globale.

Su questa vicenda il 20 novembre lei presentò un’interrogazione ai ministri Luigi Di Maio ed Enzo Moavero Milanesi sottolineando tra l’altro che la posizione italiana sul regolamento europeo sugli screening degli investimenti era cambiata radicalmente all’indomani del viaggio in Cina del ministro per lo Sviluppo economico.

Sono temi davvero poco compresi, ma è la punta dell’iceberg perché parliamo di vetri, non di armi o di tecnologia militare. Nel complesso, non ho capito qual è l’atteggiamento del governo tra l’astensione sullo screening e i rapporti con la Cina.

Parliamo di temi più “mediatici”. La sconfitta militare dell’Isis, anche se certo non definitiva, fa pensare che il rischio in Occidente venga più dai lupi solitari che da cellule organizzate: è corretto?

È normale che ci sia preoccupazione verso il lupo solitario, anche perché la sconfitta dell’Isis porta con sé il rischio dei foreign fighters che sono tornati o del loro potenziale rientro in Europa. Le ultime azioni e le attività di prevenzione dimostrano che si è attenti soprattutto ai singoli.

Com’è il livello dei rapporti internazionali sull’antiterrorismo?

Si sta operando al meglio, lo dimostrano i fatti su prevenzione e contrasto, anche sul fronte del finanziamento al terrorismo. L’attività dei nostri sistemi di sicurezza è da 10 e lode.

C’è una maggiore speranza per un accordo in Libia?

C’è finalmente più consapevolezza che occorre agire in fretta e con determinazione affinché si vada verso un accordo che porti alla stabilizzazione. Anche la conferenza di Palermo, per quanto deludenti siano stati i risultati rispetto alle aspettative, ha aperto un “file” che va sviluppato.

Non si parla più di deradicalizzazione, della necessità di organizzare meglio la società italiana per arrivare a cogliere segnali importanti. C’è la possibilità che il Parlamento riprenda il tema della legge Manciulli-Dambruoso della scorsa legislatura?

Oggi più che mai bisogna contrastare il veicolo culturale del terrorismo. Sicuramente sì, dobbiamo discutere in Parlamento e certo non al Copasir. La minaccia terroristica da fenomeno localizzato in uno stato è diventata generale, il contrasto alla radicalizzazione dev’essere molto più efficace e presente, saper cogliere i segnali è il modo migliore per debellarla.

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