Con le primarie del 2020 che si avvicinano, il Partito Democratico americano inizia a interrogarsi su chi candidare alla Casa Bianca. Dopo la débacle subìta nel 2016, l’Asinello è infatti alla disperata ricerca di un nuovo leader: un leader che si riveli capace di defenestrare l’attuale presidente, Donald Trump. Certo è che, al momento, i nomi in circolazione non sembrano troppo promettenti. Si va infatti da figure piuttosto anziane come l’ex vicepresidente Joe Biden (sconfitto alle primarie democratiche del 1988 e del 2008) a “candidati dinastici” come il governatore dello Stato di New York Andrew Cuomo (figlio di un altro governatore dello stesso Stato, Mario) e il pronipote di JFK, Joe Kennedy. Fino all’ipotesi (forse non del tutto fantascientifica) di una nuova discesa in campo di Hillary Clinton.
Eppure, in questa situazione un tantino caotica, non è del tutto escludibile che possa ben presto imporsi un altro nome: quello dell’ex first lady, Michelle Obama. Un’ipotesi ancora aleatoria, è vero. Ma alcuni segnali che sembrano confermarla, a ben vedere, forse ci sono. Innanzitutto, bisogna notare che, dopo aver lasciato la Casa Bianca, Barack Obama ha mantenuto un forte impegno politico. Non solo ha deciso di restare a Washington ma, più in generale, ha spesso continuato a criticare pubblicamente le politiche di Trump, non disdegnando – tra l’altro – di fare politica attiva durante la campagna elettorale per le ultime elezioni di metà mandato. Un iperattivismo che – stando almeno alla storia recente – risulta piuttosto insolito per un ex presidente. Qualcuno ritiene che questa scelta sia esclusivamente dovuta al tentativo di dare coesione a un partito – quello Democratico – oggi più diviso che mai. Altri, forse più maliziosi, ipotizzano invece che stia cercando di preparare la strada alla candidatura della consorte. In secondo luogo, non bisogna trascurare un protagonismo mediatico non indifferente da parte di Michelle negli ultimissimi mesi: si pensi solo al suo recente libro “Becoming”, diventato un vero e proprio best seller. Lei, ovviamente, al momento non parla di ambizioni politiche. Che si tratti, poi, di dissimulazione o sincerità, sarà solo il tempo a dirlo.
Ebbene, fermo restando che ci troviamo nel campo delle ipotesi, un’eventuale discesa in campo di Michelle Obama avrebbe effettive possibilità di conseguire qualche risultato? Visti i potenziali concorrenti, sembrerebbe di sì. Almeno per quanto riguarda la nomination democratica. In questo momento storico, l’Asinello ha infatti bisogno di una figura coesiva, che sia in grado di federare le varie correnti attualmente in lotta reciproca. Ecco: in questo caos, Michelle potrebbe presentarsi come “papa straniero”, una sorta di figura super partes, tra l’altro spalleggiata da un ex presidente, Barack Obama, cui buona parte del mondo dem guarda ancora con non poca simpatia. Senza poi dimenticare l’elevatissimo grado di notorietà di cui gode l’ex first lady: un fattore che torna sempre utile in sede di General Election. Ciononostante, non è neppure detto che la strada possa rivelarsi del tutto in discesa: soprattutto le correnti di sinistra è infatti difficile che perdonino all’ex first lady il sostegno da lei dato all’odiata Hillary Clinton nel 2016. Il problema, per Michelle, è che possa essere percepita (forse non del tutto a torto) come candidata molto vicina all’establishment: una possibilità che potrebbe esserle politicamente fatale, in un periodo in cui l’elettorato americano risulta sempre più attraversato da sentimenti anti-sistema.
Per questo, in una eventuale corsa contro Donald Trump, Michelle dovrebbe stare molto attenta ad evitare alcuni errori. Errori fondamentalmente commessi da Hillary durante le presidenziali di due anni fa. Dovrebbe, cioè, stare attenta a non dare per scontato il sostegno di determinate quote elettorali e non dovrebbe pretendere la vittoria quasi per diritto dinastico. Dovrebbe, inoltre, cercare di essere il più trasversale possibile, tentando di attirare il voto degli elettori indipendenti e riuscendo inoltre a scrollarsi di dosso l’immagine di “candidata dell’establishment”. Un’immagine profondamente scomoda, soprattutto davanti alla classe operaia impoverita (e arrabbiata) della Rust Belt, che, due anni fa, ha rappresentato lo zoccolo duro dell’elettorato di Trump. Michelle dovrebbe, insomma, riuscire a condurre una campagna elettorale da outsider: un po’ come Barack Obama nel 2008. Il punto è che, banalmente, i tempi sono mutati. E non è affatto detto che Trump possa alla fine essere tanto facile da scalzare.