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La parola dei vescovi e l’impegno dei laici cattolici per ridare vigore alla democrazia

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Mi sembra fin troppo ingenuo andare ad intervistare il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, per chiedergli se è vero che le alte gerarchie ecclesiastiche nelle antiche “catacombe di Domitilla” stanno organizzando una nuova forza politica per sparigliare il quadro di governo attualmente esistente. Non a caso il cardinale Bassetti ha chiarito l’infondatezza a tutti, ricordando le disastrose esperienze del passato tenute nella ridente cittadina umbra di Todi.

Il presidente della Cei, pur smentendo il proposito di un impegno politico diretto del Vaticano, conferma comunque l’esortazione all’impegno politico, ma non per rifondare una nuova Democrazia cristiana, cosa che realisticamente è impossibile, considerato che la Dc aveva come missione l’unità politica dei cattolici. È tempo piuttosto di rilanciare l’esperienza del popolarismo sturziano, (il 18 gennaio 2019 cade il centenario), che dopo la fine del primo conflitto mondiale portò alla costruzione del Partito Popolare Italiano, con il compito di inserire i cattolici ufficialmente nella vita politica nazionale, fino ad allora esclusi. I punti qualificanti del popolarismo erano: il rispetto della dignità della persona umana, la partecipazione, la libertà delle autonomie locali, il sistema elettorale proporzionale, cardini su cui si resse per quel poco che fu possibile la democrazia italiana pre-fascista, ma che dopo la fine del ventennale regime ricomparvero più forti di prima.

Pochi giorni fa nel consueto appuntamento annuale di presentazione del rapporto Censis del professor De Rita è stato sottolineato che la frattura nella società italiana è diventata più netta, tanto da aggravare rancore e risentimento. I cattolici devono essere consapevoli di questa condizione che va prendendo piede, giorno dopo giorno, e che si cela dietro sovranismi illiberali, che altro non sono i vecchi e sgangherati nazionalismi, che morte e terrore hanno provocato, attraverso tirannie oscurantiste, in vari paesi europei e oltre oceano. Sua Em.za Bassetti ha chiarito che la Chiesa non ha bisogno di appagare propri bisogni, ma il compito e il desiderio di aiutare i laici cattolici a riscoprire la politica come propria mission, finalizzata a realizzare il bene comune, costante della dottrina sociale della Chiesa.

San Paolo VI spingeva i cattolici ad impegnarsi in politica, affermando che la “politica è la più alta forma di carità”. L’Alto prelato perugino riconferma temi di attualità cocente come la difesa della famiglia, dei più deboli, la scarsa attenzione per i poveri, la mancanza di solidarietà per i migranti, che provoca sovente un disgustoso sentimento di xenofobia. Il presidente della Cei in un passaggio molto forte dell’intervista a Il Fatto quotidiano, senza perifrasi, ha sostenuto che la coerenza è un valore per cui «non ci si può impegnare per i poveri e i migranti e poi essere a favore dell’utero in affitto o dell’industria della vita che mercifica il corpo umano».

Il cardinale Bassetti ribadisce che i cattolici “non possono non dare il proprio contributo” in quanto “sono tra i cosiddetti ‘soci fondatori’ della Repubblica italiana”. Ricordare i vari momenti della storia del cattolicesimo politico che ha realizzato con poderoso contributo una democrazia compiuta in Italia è utile e doveroso. Come si fa a non tener conto delle aspre battaglie di don Luigi Sturzo nei primi decenni del XX secolo, degli studi che si tennero nel luglio del 1943 sui monti toscani, e da cui venne fuori lo storico “codice di Camaldoli”, come pure del notevole impegno culturale, giuridico, politico del gruppo dei “professorini” di Dossetti, La Pira, Fanfani, Lazzati?

È questa peculiare storia che spingerà necessariamente i cattolici all’impegno politico nel terzo millennio, senza questa cultura la democrazia italiana diverrà sempre più cagionevole e gracile. Il magistero che si svilupperà attraverso la parola dei vescovi sarà alimento essenziale per i laici cattolici perché la democrazia riprenda vigore. Questa alta pedagogia trasmessa al laicato dalla Cei non è finalizzata dal punto di vista organizzativo. La competenza, la responsabilità e l’impegno rimangono dei laici, che ben conoscono la dottrina sociale della Chiesa.

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