Più volte comparsa in occasione delle ultime manovre, poi sepolta e infine risorta, la web tax sta forse per vedere definitivamente la luce. Il governo si appresta a colpire i giganti della rete per fare cassa. L’accordo con l’Europa non è certo gratis, un deficit al 2,04% rimane pur sempre alto per un Paese che cresce poco o niente e per mantenere in equilibrio i saldi servono nuove entrate. L’esecutivo gialloverde ha deciso di puntare al fatturato dei grandi della rete, quelli dediti in particolar modo all’erogazione di servizi legati all’e-commerce.
Come si evince dall’emendamento alla manovra presentato dalla maggioranza, si tratta di un prelievo del 3% destinato a colpire le imprese con ricavi ovunque realizzati non inferiori a 750 milioni e ricavi derivanti da servizi digitali non inferiori a 5,5 milioni. Il Tesoro punta a raggranellare circa 500 milioni di euro all’anno, anche se l’entrata in vigore non è certo scontata. Per la piena operatività della nuova web tax made in italy si dovranno comunque attendere le regole attuative che Mef, Mise e le authority delle comunicazioni, quella della privacy e l’agenzia dell’Italia digitale.
La nuova versione della web tax ora in arrivo delinea immediatamente l’ambito oggettivo di applicazione nel quale rientrano le imprese del web che mettono a disposizione piattaforme digitali per la vendita di beni e la cessione di servizi. Si tratta ad esempio dei servizi offerti da Alibaba, Amazon o eBay. Un prelievo che colpisce dunque il business to business, ma che rischia di ripercuotersi inevitabilmente sulle piccole e medie imprese italiane che vendono, anche oltre confine, prodotti made in Italy e che per l’appunto decidono di appoggiarsi a tali piattaforme. Secondo uno studio di Netcomm, la web tax potrebbe far sentire il suo peso sull’economia italiana con una perdita di produttività fino a 2 miliardi di euro nell’arco di un triennio e quasi 17 mila addetti in meno.
L’Italia non è certo il primo Paese che decide di applicare un tassa sull’imponibile dei giganti del web, col rischio di provocare distorsioni del mercato. In Europa il Parlamento si è già espresso sul tema incoraggiando gli Stati membri ad approvare una digital tax includendo nell’elenco dei servizi digitali che possono essere tassati anche coloro che forniscono contenuti digitali “come video, audio, giochi o testi che utilizzano un’interfaccia digitale” imponendo tuttavia in 40 milioni di euro la soglia sopra alla quale i redditi di una società diventano soggetti a tassazione. In Francia, per esempio, la web tax partirà a gennaio.
Tornando all’Italia una web tax in verità è già contenuta nella manovra 2018, ma i decreti attuativi della norma contenuta nella scorsa legge di bilancio non sono mai stati varati proprio in attesa di un provvedimento europeo. Il ministro dell’Economia Giovanni Tria aveva annunciato nel corso dell’ultimo Ecofin che l’Italia sarebbe andata avanti da sola anche senza un accordo Ue. E così pare, sarà.