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Banche, pressione fiscale e consumi. Ecco i risultati della manovra del popolo

Il cielo che domina questi primi mesi del governo gialloverde è segnato dalla regola del contrappasso. Principio di antica giustizia, secondo il quale al peccatore va comminata una pena che è pari o il contrario della propria colpa. Così, secondo Seneca, l’imperatore Claudio, grande giocatore di dadi, ma soprattutto baro, era costretto a giocare, una volta abbandonata la vita terrena, con un bussolotto bucato, che lo costringe a perdere continuamente.

Luigi Di Maio aveva basato gran parte della sua campagna elettorale contro le banche. Monte Paschi, le banche venete, Etruria, Banca Marche e dintorni. La dimostrazione delle collusioni esistenti tra i poteri forti e gli esponenti dei precedenti governi. Do you remember Maria Elena Boschi? Il bubbone Carige, che costringe il governo a seguire la stessa strada, contribuisce a chiarire i contorni di quelle lontane vicende. E suona come una beffa contro le facilonerie delle antiche accuse. Al tempo stesso costringe il Tesoro ad allargare i cordoni della borsa. Quando si era affermato, con solennità: non più un euro a favore di quei poteri forti. A distanza, per altro, di pochi giorni dalle impegnative dichiarazioni del presidente del Consiglio di fine anno, quando aveva rivendicato, con malcelato orgoglio: “Non siamo il governo delle lobby, la nostra agenda è dettata dagli interessi e dai bisogni dei cittadini”. Oggi è invece costretto a varare un decreto legge che ricalca le orme del caso Monte Paschi.

Ma non è questa la sola pena del governo. A smentirlo ancora una volta è lo stesso ministro dell’economia. Che ha aggiornato il quadro di finanza pubblica dopo l’approvazione della legge di bilancio. Due le brutte novità: aumenta la pressione fiscale, mentre quasi ristagnano i consumi interni. Giuseppe Conte se l’era presa quando l’Ufficio parlamentare del bilancio aveva indicato nello 0,4 per cento l’aumento della pressione fiscale, dopo il suo fin troppo lento degradare negli anni precedenti. Aveva risposto ingenuamente che le tasse sarebbero aumentate solo per le banche, le compagnie d’assicurazioni, i giochi ed i grandi operatori del web. Come se quel maggior carico fiscale non sarebbe stato traslato sui consumatori. Le previsioni del Mef gli danno tordo e, al tempo stesso – specie per quanto riguarda le banche – rendono molto più complicata la soluzione per Carige. Per averne un idea, basti pensare a quegli oltre 4 miliardi di maggiori tasse sul sistema bancario nel suo complesso, che fanno a pugni con una richiesta di intervento per la banca ligure di solo 400 milioni. Cifra che, almeno sinora, è difficile trovare.

Non va meglio per i consumi che il Mef stima in crescita per lo 0,8 per cento del Pil, contro un aumento dei prezzi che è pari quasi al doppio. È visto che i redditi delle famiglie non sembrano essere destinati a crescere si verificherà, con ogni probabilità, quanto già avvenuto nel corso del terzo trimestre del 2018. Con le famiglie costrette ad attingere (0,2 per cento del Pil) dai propri risparmi per garantirsi lo stesso tenore di vita.

Questi quindi i risultati conseguiti dalla “manovra del popolo”. Si potrà continuare a dire che anche in passato le cose non andavano meglio. Il che è anche vero. Ma se guardiamo al futuro più immediato l’unica certezza è che le cose andranno peggio. Con buona pace di chi pensava ad un cambiamento palingenetico che avrebbe trasformato il piombo in oro. La verità è che una situazione così complicata, come quella italiana, non si risolve con l’approssimazione. La differenza tra un sapere consapevole e la non conoscenza dei meccanismi che regolano il mondo reale non è nell’entità dei possibili sacrifici – in entrambi i casi inevitabili – ma della loro finalizzazione prospettiva. Se non servono a migliorare le cose, almeno in futuro. Si trasformano in vuoti a perdere, che non cambiano alcunché e fanno solo imbestialire.


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