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Battisti, Salvini e la cattiva coscienza (della sinistra)

Mettiamo in fila un po’ di date prima di entrare nel merito della parte politica di questa brutta storia. Gli omicidi di cui Battisti è responsabile con sentenza definitiva sono del 1978 (Santoro) e del 1979 (Torregiani, Sabbadin e Campagna). Da lì inizia una lunga fuga a nascondino dello stesso Battisti, che è sintetizzabile in quattro tappe: Francia nell’anno 1981, poi Messico fino al 1990, poi di nuovo Francia fino al 2004 e, infine Brasile fino alla fine del 2018. Nel frattempo gli succede di tutto, compresa la celebrazione dei processi con annesse condanne a suo carico (in Italia) e alcuni inciampi giudiziari con soggiorni in carcere sia in Francia (breve) che in Brasile (assai più lungo, per ingresso nel paese con documenti falsi). Nella sostanza però vi sono due pilastri essenziali per comprendere come ha potuto sfuggire alla giustizia italiana per 37 anni.

Il primo è una certa complicità di buona parte della comunità intellettuale di sinistra (italiana, europea e sudamericana) che ne ha fatto un simbolo di “resistenza” alla presunta malefica alleanza tra potere politico ed egemonia economica, alleanza ovviamente benedetta (a loro parere) da Washington con annesso ruolo della Cia (strategia della tensione e così via). Il secondo è l’atteggiamento, complice oltre ogni ragionevole dubbio, dei governi di Francia e Brasile. La Francia in omaggio alla ormai celebre “dottrina Mitterand” (figlio purissimo della strategia francese di giocare in proprio sullo scenario internazionale negli anni della Guerra Fredda), il Brasile per volontà esplicita dei suoi massimi vertici istituzionali (Lula prima e Rousseff poi), impegnati a disegnare una nuova via della sinistra planetaria cessata l’egemonia sovietica, una via pervicacemente intrecciata con lo spirito di ribellione del ‘68 europeo e nordamericano riletto però in chiave più moderna, con annesse battaglie ambientaliste.

Già perché qui le chiacchiere stanno a zero: i governi di Francia prima e del Brasile poi hanno avvelenato sistematicamente i pozzi di questa storia, riempiendo di cavilli, eccezioni, pretesti burocratici ogni passaggio e ogni tentativo italiano di portare Battisti in carcere nel suo paese d’origine. Ne sono testimonianza autorevole e definitiva le parole del Presidente Napolitano nella lettera di oggi a La Stampa, quando ricorda con chiarezza la promessa (mai rispettata) di Lula di porre fine alla latitanza del Battisti: la verità, tanto semplice quanto dolorosa, è che fino all’elezione di Bolsonaro il governo brasiliano ha protetto un assassino (tale è per la giustizia italiana) in nome di un convincimento politico, esattamente come aveva fatto la Francia prima (con l’aggravante di essere paese “fratello” dell’Italia nell’Unione Europea). Eccoci dunque alla sostanza politica di questa storia, che riguarda anche l’Italia.

Le tante anime belle di questo Paese (compreso Sofri che oggi argomenta di carcere e dintorni su Il Foglio) dovrebbero fare pace su un punto, tanto semplice quanto incontrovertibile: Battisti torna non appena si configura uno scenario inedito, cioè quello di un governo di destra (o di non sinistra vista l’atipica presenza di M5S) in Italia e di un governo di destra in Brasile (che induce il latitante a fuggire in Bolivia, dove poi viene arrestato). In tutti gli altri schemi, di qua e di là dall’oceano, la soluzione non si è mai trovata. In termini calcistici dovremmo dire 1-0, palla al centro (anche se qui parliamo di vicende drammatiche, con persone innocenti che hanno perso la vita). Ebbene cosa fanno tanti (troppi) dalle nostre parti?

Invece di ammettere (come fa implicitamente Napolitano, con grande amarezza ma anche ammirabile senso della realtà) che a Salvini è riuscito (grazie anche a Bolsonaro) quello che nessuno ha saputo fare prima, si sceglie la linea della polemica un tanto al chilo, guardando il dito (la presenza dei ministri all’aeroporto) e trascurando la luna (finendo così per stare dalla parte dello sciocco e non del saggio, come nel noto proverbio). Non è questa la strada con cui la sinistra ritroverà una sua centralità nelle emozioni e nelle speranze degli italiani. Non è rosicando, sbraitando, negando l’evidenza che si torna in sella.

E comunque, in tema di aeroporti, vorrei ricordare che il ministro della Giustizia Diliberto accompagnò personalmente a Ciampino la madre della detenuta Baraldini al suo rientro in Italia. Così, tanto per non perderne la memoria.

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