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Bergoglio e l’assurdità di un cattolicesimo senza compassione

COMPASSIONE, papa francesco, Figueroa

Ha saputo sentire il monito che è arrivato da Panama la Chiesa universale? Forse si, o forse a qualcuno è sfuggito tra i fusi, gli abbagli, le traduzioni, complice il fatto che quel monito potentissimo è stato inserito da Papa Francesco in un inciso, aggiunto a braccio, mentre pronunciava il primo discorso, quello rivolto ai vescovi. “Purtroppo anche nella Chiesa si sta perdendo la compassione” ha detto Papa Francesco riferendosi ad alcuni gruppi cattolici e sottolineando la loro presenza anche nella comunicazione. È forse poca cosa la compassione per la Chiesa, per i cattolici? Ed è forse poca cosa che cattolici attivi nel comunicare comunichino una cultura, una visione o addirittura un’idea di fede senza o con poca compassione? Non ha senso interpretare il Papa, leggere in quello che non ha detto. Basta stare alla parola che ha scandito: compassione. Chi è che perde la compassione? Chi non sa soffrire per le sofferenze di un altro, chi non sa vedere il dolore dell’altro, chi ideologizza l’altro e vede magari in un povero naufrago un invasore. Che la compassione diminuisca, decresca, è evidente, ma che nella Chiesa di Cristo ci siano gruppi che non compatiscono, non provano compassione per il carcerato, l’affamato, l’assetato, chi è nel bisogno, appare un rischio enorme, quasi incredibile eppure evidente e forse sottovalutato.

Forse bisogna andare all’autore dell’epoca precristiana più amato dai cristiani, Virgilio, scelto da Dante come guida per il suo viaggio nell’al di là, per trovare il fondamento eterno della compassione per i credenti. Nell’Eneide, libro I versi 538-543, infatti si legge: “In pochi a nuoto arrivammo qui sulle vostre spiagge. Ma che razza di uomini è questa? Quale patria permette un costume così barbaro, che ci nega perfino l’ospitalità della sabbia: che ci dichiara guerra e ci vieta di posarci sulla vicina terra. Se non nel genere umano e nella fraternità tra le braccia mortali, credete almeno negli dei, memori del giusto e dell’ingiusto”.

Cosa mancava a quelle genti così barbare che temevano dei naufraghi? Non mancava la compassione? Non era la paura a farli dimentichi degli Dei memori del giusto e dell’ingiusto? È l’eterna paura dell’altro che diviene ideologia, prima delle tribù, poi dei nazionalismi e infine dello scontro di civiltà contro la cultura del vivere insieme. Questo richiamo fortissimo di Papa Francesco alla centralità del sentimento umano della compassione spiega benissimo il senso del suo discorso ai vescovi di Panama, lo Stato anti-muro per conformazione, cioè lo Stato che unisce le due Americhe e che accoglie questa edizione delle Giornate Mondiali della Gioventù. Non a caso Bergoglio ha esordito dicendo ai vescovi quale sia la forza della Chiesa: “Una Chiesa che non vuole che la sua forza stia – come diceva monsignor Romero – nell’appoggio dei potenti o della politica, ma che si svincoli con nobiltà per camminare sorretta unicamente dalle braccia del Crocifisso, che è la sua vera forza”. Eh già: può esistere un Crocifisso non compassionevole? È proprio la compassione che lo induce a porre subito all’attenzione dei vescovi la condizione dei giovani del centro e del sud delle Americhe: “Rubateli alla strada prima che sia la cultura della morte che, ‘vendendo loro fumo’ e soluzioni magiche, catturi e sfrutti la loro immaginazione”.  “Fatelo – aggiunge – non con paternalismo, dall’alto in basso, perché non è questo che il Signore ci chiede, ma come padri, come fratelli verso fratelli. Essi sono volto di Cristo per noi e a Cristo non arrivare dall’alto in basso, ma dal basso in alto. Sono molti i giovani che purtroppo sono stati sedotti con risposte immediate che ipotecano la vita”.

L’urgenza di essere padri per questi giovani sovente orfani, abbandonati, dimenticati, “senza il calore di una casa, di una famiglia”, obbliga a essere padri anche per i giovani migranti, emergenza di tutto il continente:  “Molti dei migranti hanno volto giovane, cercano qualcosa di meglio per le loro famiglie, non temono di rischiare e lasciare tutto pur di offrire le condizioni minime che garantiscano un futuro migliore. Su questo non basta solo la denuncia, ma dobbiamo annunciare concretamente una “buona notizia”. La Chiesa, grazie alla sua universalità, può offrire quell’ospitalità fraterna e accogliente in modo che le comunità di origine e quelle di arrivo dialoghino e contribuiscano a superare paure e diffidenze e rafforzino i legami che le migrazioni, nell’immaginario collettivo, minacciano di spezzare”. Ecco l’immaginario collettivo, dominato dalla paura, diffusa dall’ideologia dell’altro che ruba, sottrae, invade. Il richiamo alla compassione! “Tutte queste situazioni pongono domande, sono situazioni che ci chiamano alla conversione, alla solidarietà e a un’azione educativa incisiva nelle nostre comunità. Non possiamo rimanere indifferenti”.

“Il mondo scarta, lo sappiamo e ne soffriamo”, Cristo no, dice il Papa ai suoi fratelli vescovi. La Chiesa, e Bergoglio lo sa bene, deve continuamente chiedersi da che parte stare. La risposta non può che essere quella di San Romero, quello che la fede senza compassione nel suo Paese ha dimenticato per decenni benché sia stato ucciso mentre celebrava. “È importante, fratelli, che non abbiamo paura di accostare e toccare le ferite della nostra gente, che sono anche le nostre ferite, e questo farlo nello stile del Signore. Il pastore non può stare lontano dalla sofferenza del suo popolo; anzi, potremmo dire che il cuore del pastore si misura dalla sua capacità di commuoversi di fronte a tante vite ferite e minacciate”. Ciò significa “lasciare che questa sofferenza colpisca e contrassegni le nostre priorità e i nostri gusti, l’uso del tempo e del denaro e anche il modo di pregare”.

Ci sono state altre indicazioni importanti nel primo discorso di Papa Francesco a Panama; l’attenzione che i vescovi devono dare ai preti, la necessità di valorizzare il patrimonio culturale e spirituale di Panama, ma senza dubbio l’urgenza di rifare della compassione il tratto distintivo della cultura universale della Chiesa è stato il punto cruciale di un discorso immerso nella “latinoameranità” della predicazione di San Romero, il martire che senza compassione nel Salvador era finito dimenticato nonostante il martirio.

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