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Su Carige Bankitalia trova l’asse con Tria

Carige? Una banca meno disastrata di quel che si pensa. Come metterla definitivamente in sicurezza? Dandola in sposa a un istituto più grande e robusto. Tra Bankitalia e Tesoro è asse sul futuro di Carige. Da Davos, dove è arrivato il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, a Montecitorio, dove questa mattina è intervenuto il vicedirettore generale della Banca d’Italia, Fabio Panetta, il passo è breve. Dalla località svizzera Tria ha chiarito una volta per tutte un concetto, da far arrivare anche a chi si professa fan della nazionalizzazione, magari Luigi Di Maio.

“Le situazioni di Carige, Monte dei Paschi e Popolare di Bari sono molto diverse tra loro, ma nessuna di queste implica una crisi sistemica”, ha ribadito Tria. “Nessuno di questi casi può implicare una crisi sistemica, noi stiamo intervenendo e monitorando per non avere impatto territoriale anche sull’economia e da questo punto di vista c’è l’interesse pubblico”. In Bankitalia la pensano esattamente allo stesso modo. Certo, il ceppo è lo stesso di Mps, ovvero patrimonio eroso da un’eccesso di crediti deteriorati, ma la cura nel caso genovese può essere diversa, anche perché Carige è a tutt’oggi “una banca solvibile”, ha premesso Panetta. L’intervento dello Stato dunque non sarebbe neppure necessario perché Carige ha ancora munizioni di riserva.

L’ingresso dello Stato nel capitale delle banche “credo non sia nell’interesse di nessuno a meno che non ci sia l’esigenza di evitare danni peggiori. La soluzione che si sta ricercando è di mercato. Bisognerebbe evitare che lo Stato debba entrare in campo a un minuto fine partita dovendo segnare per forza e poi questo non succede per evitare di intervenire ex ante lo Stato interviene ex post in condizione di debolezza”. Dunque, è il messaggio di Bankitalia “un’operazione di aggregazione rappresenta la soluzione più adeguata ed efficace per preservare i valori e sfruttare le potenzialità inespresse, salvaguardando sia depositanti sia le famiglie e le imprese finanziate dalla banca”.

“Lo strumento della ricapitalizzazione precauzionale – ha precisato Panetta – è una extrema ratio cui si può ricorrere solo qualora l’auspicato rafforzamento patrimoniale dell’intermediario non possa essere realizzato altrimenti”.  Ma soprattutto è un’esigenza legata alla necessità di tutelare “la stabilità finanziaria in ogni evenienza e di evitare una possibile crisi di fiducia, con ripercussioni negative sul corretto funzionamento del sistema finanziario”. Anche perché, è bene ricordarlo, qualora lo strumento della nazionalizzazione dovesse essere effettivamente utilizzato gli esborsi di risorse pubbliche sarebbero comunque inferiori ai ben più ingenti costi economici e sociali che deriverebbero da un fallimento di Carige.

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