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Carige, il ritorno dei pasionari e la sfida delle europee. Parla Giovanni Orsina

Lega e Cinque Stelle scaldano i motori in vista delle europee. Matteo Salvini e Luigi Di Maio stanno muovendo i primi passi sulla scacchiera delle alleanze in Europa, abbandonando per un attimo i guai di casa: il braccio di ferro sui 49 migranti della Sea-Watch, il salvataggio di Carige, i postumi della manovra. Il Carroccio sembra più attrezzato. Si è mosso da tempo per il voto di maggio, e può sempre usare il cavallo di battaglia dell’immigrazione per schivare le polemiche che si riversano su Palazzo Chigi. “I Cinque Stelle soffriranno di più il caso Carige” spiega a Formiche.net Giovanni Orsina, politologo e docente di Storia Contemporanea alla Luiss, in libreria con il suo ultimo volume sull’evoluzione dell’antipolitica italiana: La  Democrazia del narcisismo (Marsilio).

La vicenda Sea-Watch ha aperto un nuovo fronte fra Lega e Cinque Stelle. Salvini guarda alle europee?

Era largamente previsto. Le europee saranno il grande tagliando al governo, dopo il voto le carte verranno redistribuite. All’orizzonte può comparire un rimpasto, una revisione del contratto, una crisi di governo, o, meno probabile, il ritorno alle urne. Fin dai primi passi del governo gialloverde era evidente che il voto di maggio sarebbe stato un check. Da qui alle europee i due partiti di coalizione saranno in competizione. Resto dell’idea che in questo momento uno strappo non convenga né a Salvini né tantomeno a Di Maio.

A prima vista la vicenda Carige sembra aver impattato più il Movimento che il Carroccio. Perché?

Per la Lega il rapporto fra il Pd e le banche non è mai stata una ragione sociale cruciale come per il Movimento. Come direbbe l’amico Michael Freeden ci sono ideologie “cuore” e ideologie “periferia”, l’avversione al mondo bancario è al cuore dell’ideologia pentastellata e infatti sarà l’elettorato M5S a pagare il prezzo maggiore per il salvataggio di Carige.

Ne è convinto?

Il caso Carige riporta a galla le divergenze ideologiche alla radice dei due movimenti. L’elettorato leghista è più adatto a capire che il salvataggio di una banca è una questione sistemica, non clientelare. I leghisti, specie al nord, sono tendenzialmente pro-business, i Cinque Stelle si rifanno a ideologie come la decrescita felice e non digeriscono facilmente il salvataggio con soldi pubblici di una banca.

Mi sta dicendo che assieme a Di Battista nel Movimento è tornata alla ribalta l’anima pasionaria e di sinistra delle origini?

Quell’anima di sinistra è ancora viva e vegeta nel Movimento e la logica politica presto la spingerà a riemergere. Oggi in Italia l’area di sinistra non è presidiata da nessuno. Esiste un immenso elettorato senza una casa. I partiti esplicitamente di sinistra sono irrilevanti, il Pd probabilmente non si riprenderà più. In poche parole, tutta l’opinione pubblica che si definisce di sinistra è disperata. È un’occasione ghiotta per i Cinque Stelle, che in pancia hanno una fetta di questi elettori.

Quindi il volto governativo e democristiano dei Cinque Stelle è avviato al tramonto?

Oggi sono al governo e conviene loro mostrare un volto adatto a governare, ma questo magma ideologico al loro interno è destinato a scoppiare prima o poi. Non è escluso che l’ambizione personale di qualche leader accenda la miccia. C’è chi silenziosamente è tentato da un ritorno all’opposizione per lasciare Palazzo Chigi al centrodestra e al tempo stesso fagocitare l’elettorato di sinistra che sta abbandonando il Pd. Per il momento ci sono dei disincentivi, come la questione del doppio mandato, che frenano queste ambizioni.

Lo spirito movimentista delle origini può tornare utile per le europee. Che idea si è fatto della strategia di Di Maio?

Attualmente il Movimento ha tanti corteggiatori in Europa, a partire dal Ppe. Non mi sembra ci sia una strategia di azione preconfezionata. Non dimentichiamo che solo un anno fa i Cinque Stelle hanno tentato di unirsi ai liberali di Guy Verhofstadt all’Europarlamento e poco dopo si sono rincorse le voci di una possibile alleanza con Emmanuel Macron ed En Marche. È la prova che i pentastellati sono ideologicamente cangianti, camaleontici, possono finire ovunque.

Si è molto parlato dei Verdi, che hanno il vento in poppa..

Sono un movimento interessante. Ma non puoi fare un pensiero ai Verdi e al tempo stesso corteggiare i gilet jaunes, gli uni europeisti di sinistra, gli altri ferocemente euroscettici.

A proposito di gilet jaunes, rivede qualche analogia con i primi passi del Movimento?

L’unica cosa in comune fra Cinque Stelle e gilet jaunes è, banalmente, l'”arrabbiatura”. Entrambi sono frutto di una rabbia sociale e di un forte risentimento verso l’establishment. E tuttavia i “Vaffa day” di dieci anni fa non avevano nulla a che vedere con le manifestazioni che stanno mettendo a ferro e fuoco Parigi. Grillo ha ragione quando rivendica di aver impedito che la rabbia si trasformasse in violenza. I gilet jaunes sono arrivati con dieci anni di ritardo e hanno imboccato una strada diversa.

I sovranisti invece le sembrano più attrezzati per la sfida di maggio?

I numeri sono il loro vero problema. L’operazione mi sembra avviata, se la visita di Salvini a Varsavia è riuscita ad attirare a sé anche i polacchi ci sono le basi per un exploit. Le cifre però vanno contestualizzate. Conservatori e sovranisti insieme, almeno stando agli ultimi sondaggi, dovrebbero riuscire a ottenere 110-120 deputati, un risultato sufficiente a condizionare i giochi interni al Parlamento europeo. Se invece, contro ogni pronostico, riuscissero a strappare il 30% dei voti diverrebbero l’ago della bilancia. Non è da escludere. Come ha mostrato la Lega l’anno scorso, l’ultimo miglio è quello che i sondaggisti non riescono mai a cogliere.

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