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Nazionalizzare Carige non può essere un tabù. Parla Scandizzo

Carige

Parlare di nazionalizzazione di un’azienda privata nel 2019 può avere un senso? A qualcuno sembra fantascienza a qualcun altro no. Se poi l’azienda in questione si chiama Carige, fa poca differenza. Il futuro della banca genovese è a un bivio tra Stato e mercato, tra nazionalizzazione (la seconda in due anni dopo Mps) e fusione con un altro soggetto. Il governo preme per la prima soluzione (qui l’articolo di due giorni fa con le diverse posizioni), mentre azionisti, Bce e commissari prediligono l’ipotesi industriale. E anche il ministro dell’Economia, Giovanni Tria non è del tutto convinto dell’intervento pubblico che è e rimane l’ultima carta da giocare.

Formiche.net ha interpellato uno dei più stretti collaboratori di Tria, Pasquale Lucio Scandizzo, economista e che del ministro è consigliere strategico. “C’è un dibattito internazionale sull’intervento pubblico sul settore bancario, che si è intensificato dopo l’ultima crisi finanziaria”, premette Scandizzo. “Le banche sono imprese particolari, perché anche quando sono interamente di proprietà privata, non producono solo beni privati, ma anche beni pubblici (tra cui fiducia nel sistema finanziario) e comportano rischi di fallimenti di mercato (ossia il mercato non tende automaticamente a ristabilire l’equilibrio tra domanda e offerta dopo una perturbazione di origine esterna) e di sistema (il collasso di una banca può estendersi al sistema bancario e all’intera economia)”.

Dunque, “l’intervento pubblico può essere quindi giustificato, anche se rimane da stabilire come vada distribuito il suo onere. Il modello svedese, per esempio, per finanziare i salvataggi bancari, prevede l’accantonamento di un fondo di stabilità, alimentato da una tassa annuale pari allo 0.018% delle passività delle banche”. Il messaggio è chiaro. Far fallire una banca non è come mandare in default una ditta di legname, senza nulla togliere a quest’ultima. Ci sono rischi diversi.

Sul decreto Carige, messo a punto dall’esecutivo cinque giorni fa, Scandizzo ha pochi dubbi. “Non sono un giurista, ma mi sembra un decreto adeguato, che peraltro ricalca esperienze già fatte nel passato. Dal punto di vista economico, l’obiettivo è quello di ridurre il rischio di credito percepito dal mercato per i titoli che verrebbero emessi dalla Banca, permettendo a quest’ultima di conseguire una ricapitalizzazione adeguata, ma con oneri sostenibili”. Rimane però un interrogativo di fondo: l’Europa, si sa, non ama gli interventi pubblici in faccende private. Dunque, la Bce potrà mettersi di traverso in caso di nazionalizzazione?

Anche qui, idee chiare. “No perché qualunque intervento dovrà essere realizzato in accordo con la vigilanza Ue nel quadro delle nuove regole europee, che prevedono che qualunque forma di nazionalizzazione sia una misura temporanea e, comunque, di estrema ratio”.

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