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Chiesa ortodossa, madre anche del popolo ucraino. La scelta epocale di Bartolomeo

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Il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, ha firmato il Tomos che riconosce ufficialmente la Chiesa Ortodossa in Ucraina, dopo 332 anni, non più sottoposta a quella russa, cioè al patriarcato di Mosca che Stalin volle chiamare “e di tutte le Russie”. L’atto, davvero epocale, è stato firmato nella chiesa patriarcale di San Giorgio. Il Patriarca Bartolomeo, in modo assai significativo, ha detto che Costantinopoli accoglie e abbraccia il popolo ucraino “come vera madre” sottolineando di aver sempre agito a servizio dei “desideri” e degli “interessi dei suoi figli”.

Il disastro causato da una visione nazionalista del cristianesimo è apparso evidente sotto gli occhi di tutti. Questa decisione ha portato infatti Mosca sull’orlo dello scisma. Ma come pensare che dopo anni di guerra feroce con la Russia gli ortodossi ucraini dipendessero dal braccio spirituale del potere che nega la loro esistenza? E quale spirito di “ecumene” una simile impostazione creerà dall’altra parte della barricata?

Guardando alle reazioni che si cominciano a intravedere nel mondo ortodosso si può dubitare che la “fraterna” vicinanza già espressa a Mosca dalla Chiesa serba e da quella di Antiochia, cioè siriana, derivi da altro che da una piena adesione di quei governi alla politica del Cremlino? E cosa dice questo al cristianesimo ortodosso? Quale visione, quale cattolicità, cioè universalità, del messaggio ortodosso questo trasmette? Un tempo erano le moschee africane intestate a re Fahd a segnare l’espansionismo islamico di matrice wahhabita in Africa. Oggi sembra che la grande cattedrale di Bania Luka intestata allo Zar Nicola II possa apparire l’araldo dell’espansionismo russo nei Balcani.

Impostata così la questione, Mosca non potrà rallegrarsi del silenzio greco, che evidenzia la possibilità che Atene dica di sì a Kiev, come anche delle voci che vedono il patriarcato ortodosso di Gerusalemme incline a riconoscere la neonata Chiesa ortodossa in Ucraina. L’alleanza trono-altare non può che produrre questi esiti, e chi voglia sbizzarrirsi nella ricerca dei motivi che potrebbero indurre queste Chiese a scelte contrarie a Mosca può facilmente trovare motivi, magari seguendo possibili pipe-line.

Ma tutto questo è la morte della fede, dell’universalità del messaggio cristiano e del valore che una Chiesa ha per un paese e per il mondo. Guardiamo a casa nostra, anzi, dentro il nostro spazio. L’idea di un cattolicesimo nazionalista, che si impossessa di simboli religiosi, passa facilmente all’esaltazione della difesa dei poveri italiani a discapito dei poveri stranieri. È la nazionalizzazione della solidarietà, che prescinde dalla effettiva solidarietà con gli indigenti nativi.

Così la decisione del patriarca Bartolomeo appare un gesto salvifico per la Chiesa e per il cristianesimo nel suo insieme. O si riscopre il significato di Chiesa universale o la Chiesa diventando nazionalista diviene uno strumento politico, un’entità tribale, un fenomeno etnico senza fede.
Proviamo a immaginare uno sviluppo diverso del caso ucraino: dopo l’annuncio della decisione del patriarca Bartolomeo di riconoscere l’autocefalia alla Chiesa in Ucraina, il patriarcato moscovita avrebbe potuto accettare l’idea, dicendo: “Siamo tutti ortodossi, proviamo a capirci, a vivere insieme”. La religione avrebbe dato alla politica un sonoro ceffone, i beni e le parrocchie sarebbero stati meno importanti dei fedeli, l’appartenere all’ortodossia un veicolo di fratellanza. Non è andata così, ma non era impossibile. Basta ricordare il luminoso esempio del patriarca serbo Pavle: certo, parlare di amore per i nemici non è così facile. Ma dopo l’attacco croato sulla popolazione serba nella Slavonia occidentale il Santo Sinodo della chiesa ortodossa serba emanò un comunicato in cui si stimavano in 5.000 i serbi uccisi e in 12,000 i profughi. Ma quel comunicato condannò le azioni di rappresaglia intraprese da parte serba: l”‘insensato” bombardamento di Zagabria e “gli atti irrazionali e vendicativi commessi da profughi disperati e impazziti” contro i cattolici nella Kraijna bosniaca. I vescovi concludevano: “Il male è male, chiunque lo commetta o verso chiunque venga commesso.”

Quando si è riunito il concilio ucraino per nominare il nuovo patriarca, Mosca ha definito i due vescovi del patriarcato di Mosca che hanno partecipato due “Giuda”. Facile immaginare quanta poca cristianità si irradierà nei prossimi giorni da tanti pulpiti. Perché se ci sono due cose che non possono andare insieme sono “cristianesimo” e “nazionalismo”. La scelta epocale di Bartolomeo, soprattutto per l’ortodossia, è stata infatti quelle di indicare, come ha chiarito subito l’autorevole vescovo Emanuel del patriarcato ecumenico di Costantinopoli, che tutte le Chiese dovrebbero chiamarsi “Chiesa ortodossa in” Ucraina, Serbia, e così via. Tra mille difficoltà la strada è tracciata.

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