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Gli Usa vogliono anche Israele nel blocco anti-Cina

Nei giorni scorsi, il consigliere per la Sicurezza nazionale americano, John Bolton, era in Israele. Non solo Siria ed equilibrio di forze con l’Iran, tra i temi trattati, almeno stando a quello che ha raccontato un funzionario del team che lo accompagnava – informazioni riservate, passate in anteprima alla Associated Press, in forma anonima. Tra queste, una che sembra girare un po’ in sordina, mentre potrebbe essere più utile di altre per comprendere ciò che l’amministrazione Trump sta facendo nello scacchiere globale. Bolton avrebbe chiesto al governo istaeliano di evitare il più possibile accordi con le compagnie cinesi delle telecomunicazioni, in particolare Huawei e Zte.

Gli Stati Uniti dicono che le reti sono penetrabili dallo spionaggio di Pechino, usano la carta della sicurezza nazionale (e internazionale, che Israele e Usa condividono) e intanto alzano il livello dello scontro con la Cina. Washington sta cercando di creare un fronte coeso, fatto di partner, alleati, amici, che si fidano dell’America e per questo decido di accettare le richieste e le posizioni anti-cinesi di Trump. In cambio dà garanzie di lealtà – le stesse che richiede.

Questo genere di operazioni, per esempio, è già riuscita con il Canada, con l’Australia, con la Nuova Zelanda e sta andando bene con il Regno Unito (il blocco del Five Eyes è chiaramente più pronto a recepire certe necessità). Ed è già in corso qualcosa di simile pure in Europa, e ci rientra anche l’Italia.

Gli americani hanno interesse a spostare gli amici da certi avvicinamenti alla Cina, che nel caso di Israele sono per esempio osservabili lungo i porti dello stato ebraico, allineati in un’area del Mediterraneo che sta aumentando il suo valore geopolitico, e dunque è sempre più attrattiva per la Cina, che ne è interessata anche per le rotte della Nuova Via della Seta.

Le preoccupazioni per le penetrazioni cinesi in Israele non sono una novità, più volte esposte trovano sfogo in vicende come quella del porto di Haifa, di cui una ditta cinese che ha finanziato opere infrastrutturali se n’è aggiudicata la gestione per i prossimi venticinque anni (si chiama Sipg, ed è la stessa che controlla il porto di Shanghai). La questione è stata affrontata anche da Bolton nel suo ultimo viaggio; ma lo stesso succede a Ashdod con la Pmec, che è addirittura in vantaggio sulla tabella di marcia prevista.

Più in generale, Pechino vuole da Israele innovazione, capirne i segreti, e contraccambia con investimenti – non una strategia nuova per il Dragone. In particolare, come spiegava The Diplomat, i cinesi vorrebbero carpire il fluido che alimenta la sinergia che lega i centri di ricerca e studio e il mondo del business israeliano, alla base del successo tecnologico del paese. Di più, perché la Cina sembra essere affascinata da come il settore delle tecnologia sia interconnesso con quelli delle sicurezza e delle difesa, diventando un punto di slancio geopolitico. E per questo lo finanzio: più o meno un terzo degli investimenti nell’hi-tech israeliano arrivano dalla Cina e da Hong Kong.

Le parole di Bolton, insomma, raccontano ancora una volta come tra Washington e Pechino la guerra commerciale, che entra ufficialmente da ieri in una nuova fase di negoziati, sia solo un terreno di sfogo del confronto globale tra le due superpotenze, con gli americani che stanno muovendo l’intero complesso della propria grandezza internazionale per provare a vincere.

 

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