È iniziata oggi a Pechino la fase d’apripista del nuovo round di colloqui commerciali tra Cina e Stati Uniti. Un faccia a faccia tra delegazioni di medio-livello, che dovrebbe anticipare altri incontri di più elevato valore esecutivo nel corso del mese – Washington ha inviato il sottosegretario al Tesoro, David Malpass (animo dialogante), e il vice-consigliere al Commercio, Jeffrey Gerrish (più falco, in linea col suo capo), mentre per i cinesi ci sono le seconde linee dei due ministeri omologhi.
Il clima che accompagna la visita è quello negoziale, ma a Washington c’è un presidente che spinge di più sull’acceleratore: “La Cina non sta andando molto bene ora”, ha detto Donald Trump in una conferenza stampa dalla Casa Bianca venerdì scorso. Siamo “in una posizione molto forte. Stiamo andando molto bene”, ha dichiarato, forte di un report uscito ore prima in cui si evidenziava come le diverse misure prese dall’amministrazione americana nell’ambito della trade war sembrino ostacolare lo sprint (già in fase calante) dell’economia cinese – cosa per altro non nuovissima, anticipata per esempio da uno studio della EconPol Europe un paio di mesi fa.
C’è una deadline da rispettare – il 2 marzo, fissata dall’incontro presidenziale al G20, quando Trump propose al cinese Xi Jinping di riavviare le trattative, offrendo di congelare l’aumento dei dazi, dal 25 al 10 per cento, previsto per il primo gennaio 2019 su 200 miliardi di esportazioni cinesi. Pechino sembra interessato a trattare e offrire “un mix di concessioni”, scrive il New York Times.
Queste informazioni su ciò che i cinesi sono disposti a dare – riduzione di alcune tariffe applicate in rappresaglia su beni americani, la fine della pratica di costringere le compagnie americane a cedere proprietà intellettuale; un accordo per acquistare più prodotti agricoli ed energetici dagli Usa – arrivano però ai giornali statunitensi dal lato americano delle trattative. Pechino è più chiusa e coperta; Washington usa le spifferate alla stampa anche come tattica per mettere in difficoltà i cinesi nei negoziati.
La situazione è complicata: queste offerte (dando per scontato che siano reali) messe sul tavolo dai cinesi richiedono complessi passaggi interni, anche di livello giurisprudenziale. Difficile che si riesca a risolverli entro la fine di febbraio, rispettando quella deadline, e la previsione più plausibile è il raggiungimento di un accordo con un congelamento dello status quo. Ossia, dazi e contro-dazi alzati finora resteranno in essere, non ce ne saranno di nuovi, e la successiva eliminazione arriverà in un secondo momento.
Sulla base di quanto detto dal presidente americano, inoltre, potrebbe esserci un gioco sporco cinese. Pechino cercherebbe di fare offerte parziali, in grado di soddisfare le anime più dialoganti dell’amministrazione (per esempio il segretario al Tesoro, Steve Mnuchin, o il direttore del Consiglio economico nazionale, Larry Kudlow), ma non quelle più “hawkish” (come i consulenti commerciali dello Studio Ovale Robert Lighthizer, il capo di Gerrish, e Peter Navarro). Scopo di questa tattica: dividere il fronte americano.
Nel frattempo, il presidente deve fare i conti con una congiuntura economica che al momento non è eccellente come qualche mese fa: la borsa in frenata, l’economia rallenta, lo shutdown (al sedicesimo giorno) è un freno, la fiducia dei mercati non è eccezionale. Giovedì scorso, sulla Cnn, Kevin Hassett, presidente del Consiglio dei consulenti economici della Casa Bianca, ha rincarato la dose: “Ci sono un sacco di aziende statunitensi che fanno molto business in Cina, e stanno vedendo i loro guadagni diminuire [nelle proiezioni per] l’anno prossimo, fino a quando non avremo un accordo con la Cina”. Apple, Fedex, Caterpillar, General Motors, Boeing, per fare alcuni nomi di chi soffre la situazione.
Secondo Pushan Dutt, un professore di economia e scienze politiche presso la business school Insead che ha parlato con la Cnbc, le congiunture economico-finanziare americane, soprattutto l’andamento del Dow Jones (a cui Trump guarda molto come indice della salute americana), sono l’elemento che potrebbe portare la Casa Bianca ad accettare un accordo minore, prologo di qualcosa di più grande da approfondire oltre marzo. Situazione naturale che potrebbe aiutare i cinesi ad aprire quel cuneo sul fronte americano.