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Perché la Commissione europea striglia l’Italia sul Codice degli appalti

“Eppur si muove”: verrebbe da commentare. Come disse quel tizio, che rispondeva al nome di Galileo Galilei, prima di essere condannato dalla Santa inquisizione in una delle stanze di Palazzo San Macuto. Dove oggi ha sede la biblioteca della Camera dei deputati. Alla fine la sfinge europea, così protervia nel difendere il principio dell’austerità finanziaria, ha parlato. Presa carta e penna, ha inviato una lettera ai responsabili italiani per metterli in mora sul codice degli appalti. Il possibile inizio di una procedura d’infrazione. Così non va: ha messo nero su bianco. Datevi una mossa. Modificate quelle norme assurde, in aperto contrasto con il diritto europeo, altrimenti saranno guai. Musica per le orecchie di chi, da tempo immemorabile, si batte contro una delle principali strozzature che impedisce all’Italia di essere un Paese normale.

Il governo italiano non è il solo destinatario della missiva. Nel mirino della Commissione europea ci sono altri 13 Paesi. Mal comune mezzo gaudio? Non è proprio così. In Italia il fenomeno del blocco degli investimenti è diventata una vera e propria patologia, mentre il Bel Paese cade a pezzi per la mancanza delle normali opere di manutenzione. Ponti che crollano, come nel caso doloroso di Genova. Ma non è l’unico. Strade colabrodo. Opere essenziali che languano da decenni. Si pensi all’autostrada Roma-Latina, programmata circa vent’anni fa. Ed ancora ferma, malgrado l’ira di automobilisti e pendolari. Sono decine i miliardi che giacciono nelle pieghe del bilancio: impaludati da procedure che hanno, da sempre, la forma di un labirinto. Speriamo, quindi, che almeno questa sia la volta buona. Che, sotto lo stimolo dell’eventuale avvio di una procedura d’infrazione, si proceda a rimuovere vincoli assurdi: nati, in teoria, per combattere la corruzione. Di fatto destinati a determinare il fermo di qualsiasi opera pubblica.

Nei programmi dei vari governi che, in questi anni si sono succeduti a Palazzo Chigi, il tema della riforma del Codice degli appalti è stato sempre un piatto forte. Talmente forte da scoraggiare qualsiasi reale iniziativa. E quando ci si è messo mano, le cose non sono migliorate, ma peggiorate. Si è sempre trovato qualcuno più intransigente degli altri. Ed ecco allora nuovi cavilli, ulteriori passaggi, maggiori controlli cartacei che non hanno combattuto il male evocato – visto i livelli di corruzione esistente – ma solo scoraggiato ogni iniziativa. Chissà se in tempi di proibizionismo, su Tav, trivelle, Tap e via dicendo, vi sarà la svolta necessaria. Giovanni Tria ha fatto della ripresa degli investimenti il leitmotiv della sua politica economica. Al punto da sacrificare uno dei punti qualificanti del programma della Lega: la riduzione del carico fiscale. Investimenti pubblici accelerati vs un aumento del prelievo fiscale. Se non si provvederà rapidamente a riformare quelle procedure, oltre il danno avremo la beffa.

Ma perché il tema è così importante? Perché non incide solo sulla vita dei cittadini – si pensi solo a Roma – ma perché rappresenta uno dei principali fattori di crisi dell’economia italiana. Nel 2008, secondo i dati dell’Ance, il peso del comparto costruzioni (compresa l’edilizia) sul Pil era del 29 per cento. Gli ultimi dati disponibili indicano una percentuale pari al solo 17 per cento. In questo intervallo di tempo si sono persi oltre 600mila posti di lavoro, mentre il fatturato è sceso del 30 per cento e gli investimenti, nei soli ultimi 5 anni, sono diminuiti del 36,5 per cento. È una vera e proprio Caporetto. Anche se non si tiene conto del cosiddetto “effetto ricchezza”: vale a dire delle conseguenze della distruzione del valore del patrimonio, dovuto ad una caduta media del prezzo delle abitazioni di circa il 30 per cento. Che ha costretto le famiglie italiane a risparmiare per ricostituire quei margini di sicurezza – la casa non è solo un bene sociale, è anche un presidio assicurativo – divorati dalla crisi. La stessa crisi bancaria, dove il peso degli Npl (Non performing loans) relativi ai crediti del comparto costruzioni pesa per oltre il 50 per cento, secondo il Mef, ne è, in qualche modo, il figlio legittimo.

Si deve solo aggiungere la caduta a picco delle principali imprese. Astaldi, Condotte, Trevi, Grandi lavori, Fincosit, Mantovani, Toti e via dicendo: imprese che, in passato, hanno segnato un’epoca ed ora sono sull’orlo del fallimento. Al punto che la stessa Cassa depositi e prestiti dovrebbe intervenire per favorire la nascita di un campione nazionale. Ne dovrebbero far parte, all’inizio, Astaldi, Salini ed Impregilo, ma subito dopo inglobare, in forme ancora tutte da definire, Condotte, Grandi Lavori Fincosit, Mantovani, Trevi e Cmc. Grandi manovre all’orizzonte. Ma saranno del tutto inutili se la struttura legislativa, che regola la governance del settore, non subirà le necessarie modifiche, sfrondandola dagli eccessi di burocratismo.

Il colpo battuto dalla Commissione europea va quindi salutato con favore. I contenuti della missiva non sono noti nel dettaglio. Le indiscrezioni parlano di interventi necessari sulle regole del subappalto e del cosiddetto avvalimento: le procedure di gare della Pubblica amministrazione. Ora l’Italia avrà due mesi di tempo per rispondere alle osservazioni. Se non lo farà, vi sarà l’espressione di un “parere motivato” con il quale la Commissione certifica il mancato rispetto delle regole europee. Scatterà un’altra breve pausa – altri due mesi – quindi il deferimento alla Corte di giustizia, preludio di nuove pesanti sanzioni, come avvenuto nel caso dei depuratori. Con un verdetto finale – questo è il limite – che può trascinarsi nel tempo.

Per il governo gialloverde, dopo le incertezze più generali che riguardano le infrastrutture materiali, è una nuova tegola, destinata a rendere ancora più effervescenti i rapporti tra i 5 Stelle e la Lega. Dopo i più recenti contrasti sulla realizzazione delle grandi opere. Gli operatori del settore premono per un intervento urgente: meglio se per decreto legge. Ma è in atto una melina. Danilo Toninelli, il “brillante” ministro delle infrastrutture, pensa ad un disegno di legge da approvare non si sa bene quando. Lo scorso 12 dicembre il Consiglio dei ministri aveva varato una legge delega, ma ancora oggi il testo non è arrivato in Parlamento. Se questi sono i tempi, i decreti di attuazione arriveranno a babbo morto. Si poteva, per far prima, pensare ad emendamenti al decreto “semplificazioni”. Ipotesi tramontata nello spazio di un mattino. Indice delle difficoltà nel trovare una “quadra”. Ma per fortuna la Commissione europea non aspetta. Uomo avvisato, mezzo salvato.


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