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Cyber spionaggio, ecco le motivazioni della sentenza Occhionero

democrazia, digitale, colajanni, disinformazione

“Una mole di dati e documenti riservati, carpiti” nel tempo “alle ignare vittime, sempre più imponente e variegata, creando una vera e propria rete di dossieraggio che aggiornavano periodicamente e consultavano in modo regolare”.
È questo uno dei passaggi contenuti nelle motivazioni – scritte dal giudice monocratico di Roma – della sentenza con cui il 17 luglio scorso sono stati condannati in primo grado a 5 anni Giulio Occhionero e a 4 anni la sorella, Francesca Maria, per quella che è stata ritenuta una attività di cyber spionaggio su vasta scala condotta ai danni anche di siti istituzionali.

I PARTICOLARI

“Un’attività criminosa”, prosegue il testo, “con particolare intensità del dolo, con abnegazione e pervicacia nel corso di un arco temporale durato svariati anni. Tutte queste operazioni – scrive il giudice nel provvedimento di 80 pagine – venivano svolte in modo silente, la vittima non si accorgeva di essere infettata proprio perché la mancata consapevolezza costituiva condizione essenziale affinché l’infezione raggiungesse lo scopo”.

LO SCOPO DEL MALWARE

Secondo le motivazioni, poi, lo scopo del malware “era esfiltrare tutti i dati sensibili di interesse, spiare la vittima, intercettare le sue conversazioni telematiche, le sue abitudini, individuare quale fosse la cronologia delle operazioni compiute, carpire le password utilizzate a protezione della casella di posta elettronica, social network, sistemi di home banking, e ogni altro dato ritenuto di interesse”.

GLI ALTRI RIFERIMENTI

Quanto all’attribuzione di presunte capacità e responsabilità, il magistrato, inoltre, in riferimento a Giulio Occhionero, afferma che è “soggetto dotato di comprovate e non comuni abilità informatiche ed è colui che ha fornito un apporto causale di maggiore rilevanza rispetto alla sorella, avendo ideato e creato l’intera infrastruttura malevola, utilizzata poi con naturalezza anche dalla sorella Francesca”.

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