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Dieci anni di Pil, dieci anni di fallimenti. Un monito per tutti

Pil

Il governo Conte ha messo in campo i suoi provvedimenti in campo economico, che hanno in “quota 100” sul versante pensionistico, in un avvio di Flat Tax per le partite Iva e nel “reddito di cittadinanza” i tre elementi distintivi. L’opposizione fa il suo mestiere e critica a spron battuto queste scelte, considerandole inutili (o dannose) per la crescita, mentre la maggioranza afferma il contrario. Messo così, ovviamente, il dibattito non va da nessuna parte, poiché ognuno resta sulla sue posizioni, felice di poter sparare a palle incatenate via social network.

Esiste però una “terza via”, cioè un pacato esame di come sono andate le cose nel recente passato, non tanto per trarne insegnamento su come andranno in futuro (non esistono maghi o veggenti affidabili in economia), quanto per avere contezza con serietà dello stato dell’arte. Allo scopo ci aiuta questo interessante grafico pubblicato mesi fa da Il Sole 24 Ore, dentro un articolo di Riccardo Sorrentino.

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PIL REALE, BASE 2007 =100

Questa semplice figura ci dice molte cose, che dovrebbero essere tenute a mente da tutti quelli che parlano di crescita, Pil, spread e così via. Risulta infatti evidente una semplice ed incontrovertibile realtà fatta di due elementi essenziali, che vanno metabolizzati una volta per tutte. Il primo è che siamo dentro (il mondo, l’Europa, l’Euro) una serie di “contenitori” vincolanti e potentissimi, la cui azione (o reazione) prevale su qualunque fattore generato all’interno del sistema nazionale, tanto è vero che tutte le quattro economie più importanti dell’area della moneta unica (Italia, Spagna, Francia e Germania) si muovono con tendenze analoghe, sia nella direzione di marcia che nella tempistica. Ciò accade per molti fattori strutturali e di dipendenza reciproca tra i diversi sistemi economici, ma è fenomeno ancor più radicato da quando (gennaio 2002) ha preso vita l’Euro.

Il secondo aspetto è però politicamente molto più interessante e dovrebbe essere tenuto in considerazione assai maggiore da tutti i partecipanti al dibattito. Il grafico infatti ci mostra un’amarissima condizione tutta italiana, per la quale noi andiamo male quando gli altri vanno male (e non potremmo fare diversamente) ma riusciamo sistematicamente ad andare peggio, mentre poi cresciamo (inevitabilmente) quando crescono anche gli altri, però lo facciamo con meno intensità. Morale della favola noi facciamo peggio di tutti (i tre paesi qui a confronto) sia nella buona che nella cattiva sorte.

Siccome però il periodo preso in esame è politicamente molto significativo dobbiamo tenerne conto, proprio alla luce del dibattito che oggi si sta svolgendo. Vediamo così che l’economia nazionale inizia ad andare in difficoltà sul finire del governo Prodi uscito dalle elezioni del 2006, mentre gli altri paesi sono ancora con curva piatta.

Vediamo una forte contrazione con timidi segni di ripresa (ma più deboli di quelli degli altri) negli anni dell’ultimo governo Berlusconi (2008-2011). Vediamo una pesante caduta al tempo del governo Monti (2011-2013), contesto comune a tutti i paesi presi in esame ma che in Italia lascia una ferita più profonda. E vediamo infine una ripresa costante per tutti gli anni successivi (governi Letta, Renzi e Gentiloni) che però è più debole da noi che dalle altre parti. Il risultato finale è tanto semplice quanto disarmante: siamo l’unico paese che a fine 2017 (i dati 2018 arriveranno nei prossimi mesi) non ha ancora raggiunto il livello di Pil (a valori incatenati 2010) del 2007, mente tutti gli altri hanno già raggiunto l’obbiettivo (Spagna compresa).

Questa semplice (e un po’ malinconica) constatazione deve servirci ad interpretare anche il presente, perché evidenzia un problema strutturale dell’economia nazionale, debole indipendentemente dal colore dei governi. Ma indica anche che nessuno (non l’ulivista Prodi, non il Berlusconi del predellino, non il Monti salvatore della patria, non il serio Letta o il rottamatore Renzi) ha messo in pista provvedimenti in grado di incidere su quella tendenza. Insomma, numeri alla mano, possiamo dire che tutti hanno fallito (pur essendo giusto riconoscere l’impegno) ed hanno fallito pur essendo interpreti delle scuole di pensiero più diverse. E ciò risulta vero anche se facciamo un operazione essenziale per valutare l’effetto reale dei provvedimenti, cioè quello di spostare in avanti di almeno un anno il tempo “di competenza” di ogni singolo governo.

Sarà in grado l’esecutivo giallo-verde di invertire questa tendenza? Non lo sappiamo, solo i numeri ce lo diranno nei prossimi anni. Anzi, poiché l’impresa è titanica (a bocce ferme, dentro questa Europa e questa moneta unica) le probabilità di successo sono scarse. Però alle spalle abbiamo una storia di risultati modesti, se ne ricordino un po’ tutti.

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