Che la Libia sia un inferno per i migranti ormai è chiaro a tutti. Le testimonianze sono innumerevoli e in particolare restano nei nostri occhi le immagini della vendita degli schiavi (con tanto di battitore) ripresa dalla Cnn qualche mese fa a Tripoli. Da tempo i trafficanti ci tengono in ostaggio mettendo alla prova il nostro senso di umanità: maltrattano i profughi senza nascondersi per cercare di aprire una breccia nel muro europeo facendo leva sull’emozione. Le destre europee reagiscono con una chiusura totale: lasciarli in Libia o riportarli lì, all’inferno. Accettano dunque l’esistenza dell’inferno. Chiunque faccia il contrario, come le Ong, chiunque si ribelli all’inferno, è tacciato di complicità e financo denunciato. Così facendo si disumanizza l’intero nostro continente, provando a fargli cambiare natura. Ciò è inaccettabile.
È lo stesso ragionamento che fanno i sostenitori della pena di morte e che una volta facevano gli schiavisti: siccome ci sono dei cattivi (in questo caso i trafficanti), occorre reagire con pari cattiveria; ogni buonismo è traditore. Ma così la civiltà regredisce disumanizzandosi. Portato all’eccesso questo modo di ragionare somiglia tanto alla regola dei nazisti: disumanizzare l’altro (da profughi a gitanti in barca per esempio) per cancellare ogni remora di coscienza, ogni pudore, ogni vergogna. Sappiamo che invece la civiltà è progredita accettando di aprirsi ai diritti anche e soprattutto in epoche dure, anche quando c’era da pagare un prezzo. La nostra civiltà del diritto non ci permette di contravvenire a regole di umanità addirittura molto antiche, come quella del salvataggio in mare. Gira sui social un verso di Virgilio in questo senso, opportunamente spiegato in un bell’articolo da Antonio Scurati. Salvare la vita prima di tutto. A chi si dice cristiano va rammentato che questa è la legge dell’amore del Vangelo: amare i propri nemici cioè coloro che percepisci come nemici, come una minaccia, come invasori. Non ci dovrebbe essere discussione su questo ma la realtà europea di oggi è quella di un pensiero debole che cede di fronte all’inumano.
In gioco c’è la qualità della nostra democrazia nel senso che, anche a istituzioni vigenti, perdere la propria natura profonda di popolo democratico apre alle avventure peggiori. Continuamente si ripete la stessa scena: una nave delle Ong vuole sbarcare delle persone tratte in salvo; si rifiuta l’attracco litigando fra europei su chi deve aiutare; si dimentica che ci sono in ballo delle vite; si stuzzica la parte peggiore del Paese e delle persone. L’egoismo assurge a forma legittima di sopravvivenza: prevale la legge pagana della giungla “mors tua vita mea”. Purtroppo la pavidità dei “buoni” aiuta la prepotenza dei “cattivi”: la criminalizzazione delle Ong e dell’aiuto inizia ben prima di Salvini, con l’ultimo governo a guida Pd. Il veleno è iniettato allora e si espande.
Accade sempre così in Europa: i pavidi aprono le porte ai peggiori. Se succede su problemi di poco conto nessuno se ne accorge; ma quando tocca le vite umane diviene uno scandalo. Non c’è paura che tenga: di fronte alla necessità di salvare vite non ci dovrebbe essere dilemma alcuno. Invece si è istillato il dubbio che si possa di fatto condannare qualcuno a morte (o a soffrire) in nome della propria tranquillità. Buonismo? No: realismo. Ciò che vale oggi per un altro, domani potrà valere per te. È un principio di precauzione e di buon senso: fai agli altri quello che vorresti sia fatto a te e non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te. Una saggezza che dovrebbe convincere tutti ad abbassare i toni, a non reagire con fastidio ma a riflettere un poco di più: ci dobbiamo proprio ridurre a disumanità come i trafficanti? Se loro sono per la morte noi dobbiamo continuare ad essere per la vita. Senza se e senza ma: non esiste una difesa della vita condizionata, parziale, contabilizzata. La vita è la sola cosa che vale, la sola scriminante di umanità: o la difendi sempre e comunque, o ti metti dalla parte di chi uccide. Davvero vogliamo questo? Io no.