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Vi spiego i miei dubbi sulla missione Sophia nel Mediterraneo. L’opinione di Tricarico

Beh, ora è francamente troppo. Pareva una forzatura giornalistica, e invece qualche giorno fa il comandante della missione Sophia ha detto veramente in conferenza stampa, anzi ha lasciato chiaramente intendere, che senza le unità militari a presidio del Mediterraneo si attiverebbe un flusso incontrollato di terroristi verso le coste europee.

Ora, l’equazione che collega il fenomeno migratorio al terrorismo non ha mai tenuto; è stata appannaggio strumentale di ben identificate parti politiche, ma non ha mai trovato riscontro alcuno neppure quando l’Isis ha perduto il controllo del territorio in Siria e Iraq, quando anche l’allora ministro dell’Interno Marco Minniti non parve escludere che qualche foreign fighter in fuga cogliesse l’opportunità dei barconi per sfuggire alla cattura, salvo poi rivelarsi fortunatamente inconsistente anche questo, (a dire il vero non infondato) timore. E già che ci siamo, visto che il vaso delle esternazioni in libertà è traboccato, pare doveroso cogliere l’occasione per un consuntivo sulla missione europea che, da quasi quattro anni, solca senza sosta il Mediterraneo.

Suo scopo iniziale era quello di contrastare il traffico di essere umani. Nei fatti, come molte altre missioni militari e non governative, ha incoraggiato il fenomeno migratorio portando addirittura alla modifica delle modalità operative della criminalità che, da quando ha ritenuto verosimile che qualcuno avrebbe salvato i naufraghi, li ha imbarcati su gommoni che non tenevano il mare se non per tempi e distanze contenute.

Chi ha letto il documento di impianto della missione EuNavForMed Sophia avrà potuto notare che gli stessi pianificatori militari ritenevano verosimile il pericolo che la presenza della flotta potesse incentivare gli esodi. E nonostante questo, per anni la missione ha letteralmente bruciato un ammontare consistente di ore di moto destinate alla difesa dello Stato più che alla pretesa caccia ai trafficanti di esseri umani. Ma un’altra e ben più significativa ipocrisia ha caratterizzato Sophia: quella di sottovalutare, se non far finta di non sapere che, per dare avvio alla fase tre della operazione, quella che avrebbe consentito alle unità militari di arrivare a combattere la criminalità lungo le coste libiche, sarebbe stata necessaria una risoluzione delle Nazioni Unite, la quale non sarebbe mai stata approvata, e nonostante questo si è proceduto senza battere ciglio.

È giunto il momento quindi di avviare una riflessione di fondo sulla opportunità di continuare a sperperare risorse in una attività che non ha comportato alcun vantaggio, o se piuttosto non sia il caso di interrogarsi seriamente sulla adeguatezza di una componente militare a regolare i grandi flussi migratori e i fenomeni criminali associati. O se per esempio non sia il caso di riordinare e potenziare le capacità delle guardie costiere europee evitando che l’onere maggiore ricada sempre sulle spalle dell’operatore più capace, l’Italia, magari promuovendo la nascita di una guardia costiera europea o un modello di gestione dei traffici marittimi facenti capo, come negli spazi aerei e nella Nato, a un’autorità terza sovranazionale. Anche e soprattutto per dirimere le quotidiane controversie in maniera univoca e conformemente alle regole condivise che oggi tutti sembrano ignorare quando non collimano con i propri interessi.

Altro che navi militari a contrasto alla diaspora terroristica o altre fandonie a legittimazione di una missione mal riuscita.


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