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Phisikk du role – Calenda e l’ineluttabile Europa

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Si può avere in simpatia oppure no Carlo Calenda, ma si deve attenzione almeno ai sottoscrittori di un documento che dice a chiare lettere che si vuol stare dalla parte dell’Europa. La qual cosa non solo non sarebbe per niente scontata in questo riflusso malmostoso di sovranismo con la faccia truce, ma recherebbe in sovrappiù il bene prezioso dello scuotimento da un torpore catatonico in cui sono intrappolate le opposizioni.

Quella berlusconiana, avvizzita forse dall’anagrafe ma ancora più dal difficile esercizio di essere Fi di governo con Salvini in tutt’Italia, e Fi di (moderata) lotta contro Salvini in Parlamento: raffinatezza complicata da imbastire. Quella piddina, ipnotizzata dai riti bizantini dei suoi eterni congressi, ormai divenuti, più che un’urgenza procedurale, una specie di sindrome cronicizzata.

Ricordare, dunque, che il nostro destino è l’Europa, che senza siamo destinati all’insignificanza e ad un peggiore impoverimento, che solo insieme ai partner europei possiamo dire qualcosa in un contesto globale che si muove oggi a blocchi assai più di quanto non accadesse al tempo della guerra fredda, ricordare che, a far due conti ci conviene e ci avanza, è cosa quanto meno meritoria. Aggiungerei che in questo momento storico, dopo la Brexit (coi suoi pentimenti) e in un quadro di debolezza dei grandi sopravvissuti, la Francia e la Germania, un governo italiano credibile, autorevole e non antagonista potrebbe svolgere un ruolo decisivo nella riforma dei patti che hanno retto finora l’Ue, perché è vero che Europa Uber Alles, ma è anche vero che una sterzata sui trattati, concepiti su equilibri centrati sul nord ( perché c’è sempre un nord più a nord di noi!), avrebbe parecchio senso. Magari aprendo anche il capitolo Mediterraneo. Ma abbiamo il governo che c’è. Dunque cerchiamo almeno di comprendere se potremo contare su un’opposizione capace di proporsi come alternativa.

La proposta calendiana ha un corollario che descrive l’ipotesi di lista per le elezioni del 26 maggio, auspicando un’aggregazione in cui possano trovare posto il Pd, la Bonino e altri raggruppamenti laici-progressisti minori. Non è il listone delle opposizioni perché non ci sarebbero le destre e le sinistre come Leu, però è sicuramente un “fronte” in cui i soggetti conferenti arriverebbero con la propria identità, così come accadde con l’Ulivo di Prodi.

L’idea anticipa una ineluttabilità, quella del cambiamento del brand da parte del Pd, almeno per questo giro elettorale che lo vede confrontarsi con la montagna inarrivabile del 41 % delle europee del 2014: allargare il gioco è la cosa più logica per i Democrat e non a caso i due competitors più accreditati alla segreteria, Zingaretti e Martina, hanno già detto che l’idea convince. Bonino, invece, sembra non condiscendere. Ora, a parte la cattiva sorte che tocca sempre ai “fronti” nel nostro Paese, il pericolo di una semplificazione binaria tra europeisti che si battono per l’Ue così com’è e riformatori che difendono l’onore della patria offeso dalla perfida Gallia e compagni, è reale. Di più: le elezioni si svolgeranno in ambiente proporzionale, il che suggerisce l’opportunità un’offerta politica variegata per poter conquistare spazi elettorali più ampi e non la drastica riduzione degli attori. Allora? Forse articolare la proposta del fronte non con una sola lista ma con un’offerta laica e liberaldemocratica, una della sinistra sociale unita ed un’altra ancora con uno spazio che metta sotto lo stesso tetto il Pd ed esperienze compatibili, potrebbe rappresentare una risposta in grado di raccogliere più consenso di quanto non si immagini. Provare per credere.

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