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Fca e non solo, perché le misure del governo sulle auto sono una mazzata per il mercato

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Mike Manley amministratore delegato di Fca è stato chiarissimo nei giorni scorsi: “Il provvedimento governativo del bonus/malus sugli incentivi per gli acquisti di auto cambia lo scenario del mercato”, per cui il piano presentato dalla società ai sindacati solo due mesi orsono – che prevede investimenti in Italia per 5 miliardi – “pur non essendo assolutamente bloccato, potrebbe essere modificato. Ma potremo capire se e come sarà modificato” – ha aggiunto il top manager – “solo quando saranno chiari gli effetti che la nuova legge potrà avere sul mercato”.

Una dichiarazione il cui contenuto in realtà era stato paventato da molti osservatori, all’indomani dall’inserimento nella legge di bilancio di norme che qualche sindacalista aveva subito definito dissennate e che anche tutte le imprese della filiera italiana dell’automotive avevano censurato con durezza.
La Fim Cisl peraltro nei giorni scorsi è giunta a individuare con precisione i modelli elettrici ed ibridi di marche estere che trarrebbero vantaggio dagli incentivi del governo, a danno molto probabilmente dei modelli della Fca che, al momento, non ne dispone, ma che ha previsto di produrre nel suo piano.

E il segretario dello stesso sindacato Marco Bentivogli ha dichiarato con inusitata durezza che se l’esecutivo non modificherà radicalmente le misure assunte, i lavoratori delle fabbriche dell’auto e dei settori ad essa collegati porteranno la loro protesta a Roma sino a Palazzo Chigi, coinvolgendo la Presidenza del Consiglio e – se non abbiamo mal compreso il suo messaggio – scavalcando così lo stesso ministero dello sviluppo economico, probabilmente ritenuto ormai interlocutore non più affidabile, anche perché non risulta più operativo, almeno sino ad oggi, il tavolo nazionale dell’auto che era stato frettolosamente convocato dal ministro Di Maio dopo le prime vibranti proteste scoppiate dopo l’annuncio delle misure di incentivazione.

Alle dichiarazioni di Bentivogli si sono associate quelle altrettanto dure di Rocco Palombella segretario generale della Uilm, interprete anch’egli dello sconcerto e delle preoccupazioni dei centomila addetti del comparto nazionale a rischio di cassa integrazione, almeno nelle fabbriche che lavorino solo o prevalentemente per la Fca.

Ora, è bene chiarire che i sindacati non sono affatto contrari – come peraltro chi scrive – ad uno sviluppo della mobilità sostenibile e ad una crescita ordinata, programmata e distesa in un lasso di tempo pluriennale del comparto dell’automotive in Italia in direzione dei veicoli ibridi ed elettrici che hanno bisogno di infrastrutture di alimentazione idonee. Ma appunto si chiede una crescita ordinata, programmata e concordata con gli stakeholder del comparto, con le sue filiere che sono molto estese e che contribuiscono a rendere tale settore uno dei primi motori del manifatturiero nazionale, e non solo italiano.

Ma la misura del governo è apparsa a tutti un’improvvisazione che sul medio-lungo periodo potrebbe finire col lesionare strutturalmente il comparto e i suoi stabilimenti nella penisola, inducendo la Fca anche a spostare investimenti in altri Paesi, e che a breve termine potrebbe comportare aumento drastico di cassa integrazione.

Ha senso tutto questo? Ha una sua razionalità economica? Possibile che un presidente del Consiglio equilibrato come Conte e due vicepresidenti, l’uno realista (Di Maio, vedi la vicenda Ilva) e l’altro sicuramente astuto (Salvini) non comprendano che quelle misure per come sono state introdotte nella legge di bilancio rischiano di infliggere una mazzata strutturale ad un settore che avrebbe bisogno di essere rilanciato con razionalità, con un grande programma pluriennale per contribuire alla crescita del Paese che, invece, si teme si stia avviando alla recessione?

E se i sindacati si vedessero costretti a portare i lavoratori dell’auto a Roma sotto le finestre di Palazzo Chigi, c’è già chi teme che l’esplosione della loro rabbia possa far apparire le manifestazioni a Parigi dei gilet gialli e dei loro “casseur” solo delle pacifiche passeggiate di salute.

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