La nuova crisi di Piaggio Aerospace, con la decisione del proprietario e cliente emiratino di interrompere il suo impegno, può essere affrontata in due modi. Il primo, quello della tradizione italiana, fatto di recriminazioni sulle promesse non mantenute e su nuove promesse da parte del mondo politico (maggioranza e opposizione) che porta a una lenta agonia, durante la quale il personale più giovane si cerca un altro impiego e quello più vecchio vivacchia con gli ammortizzatori sociali e poi va in pensione e al cui termine l’impresa chiude. Il secondo, che potrebbe rappresentare un reale cambiamento sul come gestire le crisi aziendali, basato su una seria analisi delle condizioni dell’impresa e del suo mercato di riferimento e che alla fine, forse, non salverebbe l’impresa come è stata fino ad oggi, ma potrebbe assicurare un futuro diverso alle sue attività.
La seconda opzione non dovrebbe comportare un colpo di spugna con cui cancellare le responsabilità degli azionisti che si sono succeduti, così come quelle dei governi e delle amministrazioni coinvolte (presidenza del Consiglio e ministeri della Difesa e dello Sviluppo economico). Anzi, quello della Piaggio potrebbe essere un esempio delle cose da non fare e di quelle che, invece, avrebbero potuto e dovuto essere fatte negli ultimi trenta anni. Servirebbe, se non altro, come insegnamento per il futuro, ma non aiuterebbe a risolvere i problemi del presente. Nel frattempo, si potrebbe impostare una realistica soluzione che punti a garantire il mantenimento delle capacità tecnologiche e industriali.
Punto di partenza è che Piaggio Aerospace gestisce tre attività differenti, tutte e tre insufficienti a vivere da sole e garantirne lo sviluppo. Punto di arrivo è che, fallito il tentativo portato avanti in tutti questi anni di tenere insieme queste tre attività appoggiandole una sull’altra, bisognerebbe puntare a trovare tre soluzioni differenti, tagliate sulle rispettive specificità. Come nei vecchi palazzi che non possono più essere mantenuti dalla famiglia proprietaria, la divisione e la ristrutturazione in più unità autonome diventa una strada obbligata, anche perché la società presenta una pessima situazione finanziaria.
IL SETTORE DEI DRONI
La parte tecnologicamente più promettente è quella dei velivoli a pilotaggio remoto. Le competenze potrebbero essere integrate con quelle di Leonardo. L’esperienza maturata con il programma P.1HH potrebbe, così, essere valorizzata in nuovi programmi a partire da quello europeo EuroMale, a condizione che l’Italia partecipi alla prossima fase di sviluppo. Nel frattempo, gli otto velivoli quasi completati per il cliente emiratino potrebbero essere resi operativi e acquistati dal ministero delle Infrastrutture per assegnarli alla Guardia costiera, che li potrebbe operare grazie all’Aeronautica militare al fine di sperimentare il loro utilizzo nella sorveglianza dei nostri confini marittimi e in particolare di quelli meridionali. Ovviamente, nel finanziare l’operazione, governo e Parlamento dovrebbero coprire anche il costo del loro utilizzo (formazione, operatività, supporto logistico).
Le risorse potrebbero essere in parte assicurate dal finanziamento che era stato previsto per lo sviluppo del velivolo P.2HH, mentre con la restante parte si potrebbe coprire la quota iniziale della partecipazione italiana al programma europeo. Questa soluzione offrirebbe la possibilità di maturare nuove esperienze civili/militari nel controllo del Mediterraneo, da utilizzare anche in coordinamento con l’agenzia europea Frontex, in attesa che siano disponibili futuri velivoli più performanti. Si potrebbe, inoltre, cogliere l’occasione per creare un “polo nazionale” per i velivoli a pilotaggio remoto, inteso come forma di coordinamento che coinvolga Leonardo, istituzioni (militari e civili), Università e centri di ricerca.
I VELIVOLI D’AFFARI
La parte industrialmente e socialmente più rilevante è quella legata alla produzione e al supporto dei velivoli d’affari P.180. L’accordo già siglato con la PAC Investments, un gruppo finanziario lussemburghese che rappresenta investitori cinesi, prevede la cessione di tecnologia e licenza per la produzione del P.180, ma potrebbe essere esteso anche al mantenimento della linea di produzione italiana, rafforzando il coinvolgimento di imprenditori nazionali. Potrebbero, quindi, esserci due versioni del velivolo, una per il mercato occidentale e una per quello cinese e di qualche altro Paese asiatico e africano. La riduzione dei costi, legata alla maggiore scala dimensionale e al possibile utilizzo di parti prodotte in Cina anche per i velivoli prodotti in Italia, potrebbe favorire una maggiore competività sul mercato internazionale. Il superamento della fase di decollo della nuova versione P.180 EVO potrebbe essere sostenuto da una commessa italiana che, con un apposito finanziamento pubblico distribuito fra i diversi ministeri interessati (Difesa, Interno, Mef, Mit), consenta la sostituzione dei circa trenta velivoli in servizio presso le Forze armate e altri corpi dello Stato, assicurando un mezzo più efficiente e con minori costi di esercizio e manutenzione. Gli attuali P.180 potrebbero, invece, essere permutati ed esportati. Questo rilancio del programma P.180 consentirebbe, inoltre, di assicurare un più efficiente supporto logistico dell’intera flotta civile e governativa, migliorando l’affidabilità dell’azienda sul mercato internazionale.
LA MOTORISTICA AERONAUTICA
La parte più piccola è quella motoristica aeronautica. È, però, essenziale per il mantenimento dell’operatività di alcuni velivoli ed elicotteri in servizio presso le nostre Forze armate, tra cui l’MB339 e l’A129. Quest’attività potrebbe essere ricollocata nell’ambito del supporto logistico assicurato da Leonardo a numerose piattaforme e sistemi in servizio presso le Forze armate. In questo caso la validità dell’operazione potrebbe essere sostenuta da contratti a lungo termine assegnati dal ministero della Difesa per la durata della vita residua dei velivoli supportati.
LA STRATEGIA DA ADOTTARE
Una strategia così complessa e articolata, con importanti implicazioni internazionali, non è facile da realizzare. Richiede un approccio multiforme e chiama in causa diverse competenze politiche, amministrative, economiche, manageriali e tecniche. Ma, soprattutto, richiede una forte volontà politica che metta in atto la nuova strategia. Il primo passo, quindi, dovrebbe essere la decisione dei ministri coinvolti (Sviluppo economico, Difesa, Interno, Economia e finanze, Esteri) di intervenire rapidamente, individuando un unico responsabile “politico” e costituendo un gruppo di lavoro interministeriale formato dai loro “sherpa”, supportato da un piccolo gruppo di esperti. Il secondo, la definizione e la verifica della fattibilità delle opzioni via via individuate. Terzo e ultimo passo, l’attuazione del piano di ristrutturazione con il sostegno del Parlamento e l’utilizzo di tutta la strumentazione finanziaria disponibile.