Dallo spazio agli abissi marini, dal web ai network delle telecomunicazioni. La maledizione della guerra fredda, la malattia mortale che avvelena la pace, ha esteso all’infinito il campo d’azione dei conflitti non dichiarati, combattuti senza esclusione di colpi. Una guerra con un numero imprecisato di vittime e di danni collaterali inconfessabili e, soprattutto con un numero maggiore di combattenti, per l’entrata in scena della Cina, rispetto alla storica guerra fredda fra Stati Uniti, Inghilterra ed occidente da una parte ed Unione Sovietica e Patto di Varsavia dall’altra.
Una guerra fredda tripolare ancora più subdola e rischiosa, con l’Europa nella scomoda posizione di continente epicentro dei consumi globali e scrigno del patrimonio artistico e storico del mondo. “Non è cambiato molto si è ampliato solo il fronte. Oggi come allora l’Europa è divisa fra Paesi filo russi ed ora anche in stretti rapporti con Pechino, e nazioni filo occidentali” constata l’editorialista Mauro Indelicato, esperto di strategie politiche e militari.
Oltre l’Europa dove passa oggi l’immaginaria cortina di ferro?
Prima dell’annuncio di Trump circa il ritiro americano dalla Siria, c’era una precisa linea di demarcazione: era quella, questa volta naturale e non costituita da un muro come a Berlino, del fiume Eufrate. Ad ovest del fiume vi sono i territori sotto il controllo del governo di Assad, alleato della Russia, mentre ad est vi sono le province occupate dalle milizie filo curde supportate dagli Usa. Questa divisione in due grandi e distinte aree di influenza in Siria, che continuerà comunque ad esserci anche dopo il ritiro dei militari Usa, è un po’ l’emblema del confronto tra Mosca e Washington di questi ultimi anni. Più in generale, nella regione del mediterraneo ed in medio oriente, dove passo i fronti più caldi, ci si divide tra paesi più propensi a guardare verso il Cremlino e Stati invece che continuano ad essere fedeli a Washington.
Mosca e Pechino hanno saldato una precisa alleanza militare, come ai tempi di Mao e dell’Urss, o si ritrovano a fronteggiare l’occidente senza una strategia unitaria?
Russia e Cina non sono “amici naturali”, anche se la storia a volte tenderebbe a far pensare così. C’è però una grande convergenza di interessi tra i due paesi. La Russia, più bloccata ad ovest specialmente dopo la crisi ucraina e le sanzioni, guarda ad oriente e dunque vede nel grande mercato cinese una fondamentale valvola di sfogo. La Cina dal canto suo, preoccupata dalla guerra commerciale con gli Usa, vede nell’asse con Mosca una possibilità di crescita soprattutto sotto il profilo politico-militare. Non c’è quindi un patto militare che delinea un’alleanza strutturata, bensì un insieme di interessi che negli ultimi anni ha contribuito a solidificare un asse che, ad oggi, porta entrambe le parti ad un continuo e reciproco confronto sui dossier internazionali più importanti.
Che differenza c’è fra la prima classica guerra fredda e quella attuale?
Proprio il fatto che non esistono patti ben precisi, ma interessi comuni che rendono complessivamente la situazione internazionale non orientata secondo schieramenti ben contrapposti. Classico esempio è la Turchia, che fa parte della Nato ma al tempo stesso dal 2016 intrattiene rapporti molto stretti con la Russia, con la quale Ankara da quasi tre anni collabora sul fronte siriano. Anche l’Arabia Saudita, alleata di ferro degli Usa in medio oriente, intrattiene con il Cremlino privilegiati rapporti in campo energetico. Andando più ad oriente, persino la Corea del Nord, da sempre vicina a Pechino, oggi esce fuori dalla logica della totale contrapposizione e dialoga con gli Stati Uniti.
L’Europa riuscirà a neutralizzare la crescente offensiva sotterranea russo cinese?
Non credo, e questo per due motivi. Da un lato perché non conviene a tutti i suoi Stati membri. La stessa Germania sta portando a compimento il progetto del North Stream, che aumenterà l’esportazione di gas russo verso l’Europa e che per Berlino rappresenta un elemento fondamentale per far diminuire la sua dipendenza dal carbone. Anche l’Italia è da sempre economicamente vicina alla Russia e non soltanto per questioni energetiche. La Cina dal canto suo, punta molto sui porti europei per il progetto della nuova via della Seta. In generale, ci sono situazioni in cui l’asse russo – cinese viene visto a livello economico come un’opportunità prima ancora che come una minaccia. Il tutto si spiega con quanto detto prima: non esistono alleanze ben precise, né da una parte e né dall’altra. Dunque anche se l’Europa deve assecondare l’alleanza con gli Usa, come dimostrano le sanzioni contro Russia volute da Bruxelles nel 2014 e da allora mai più tolte, esistono spazi al suo interno per un rapporto molto profondo con Russia e Cina. Il secondo motivo, riguarda il fatto che, anche se ci fosse l’intenzione di farlo, l’Europa per come oggi è strutturata non avrebbe la forza di contrastare l’asse economico politico russo – cinese.
Durante la guerra fredda del secolo scorso il terrorismo era “usato” per destabilizzare l’occidente e per i più inconfessabili lavori sporchi. Il fondamentalismo e il sedicente stato islamico ricalcano questa strategia?
Stando alle dichiarazioni di Trump nella campagna elettorale del 2016 e di Putin negli anni precedenti, il terrorismo attualmente viene visto come un nemico comune tra i due blocchi e tra Usa e Russia in particolar modo. L’islamismo colpisce sia in Europa che in Russia, in Cina il governo deve far fronte a numerosi foreign fighter che partono dalla regione turcofona dello XinJiang per raggiungere il califfato, o quel che resta. Dunque, quasi paradossalmente, il terrorismo fondamentalista potrebbe diventare unico vero punto di contatto tra le parti.