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Huawei, le accuse degli Usa e il fronte occidentale contro il 5G cinese

Nuovo (e atteso) colpo di scena nella complessa partita geopolitico-economica tra Washington e Pechino, che vede crescere di giorno in giorno il fronte occidentale contro il 5G Made in Cina. Gli Stati Uniti – annuncia il Dipartimento di Giustizia, che punta alla sua estradizione – accusano Huawei e il suo chief financial officer Meng Wanzhou di frode finanziaria.

LE ACCUSE

In verità molti dei dettagli erano già trapelati nei giorni passati. Le autorità americane accusano il colosso di Shenzhen e la sua numero due – non una semplice manager ma la figlia del fondatore della compagnia, Ren Zhengfei, arrestata in Canada su richiesta degli inquirenti americani -, di aver commesso il reato di frode finanziaria violando le sanzioni nei confronti dell’Iran. Le accuse – 13 in tutto, ha spiegato il DoJ – arrivano al termine di un’indagine durata più di un anno, che a detta del numero uno dell’Fbi, Christopher Wray, metterebbe in evidenza le “azioni sfacciate e persistenti” ai danni “di società e istituzioni finanziarie americane” da parte del colosso cinese (ritenuto troppo vicino ai vertici di Pechino, anche perché obbligato ad esserlo dalle più recenti leggi nazionali sull’intelligence, e per questo potenziale veicolo di spionaggio). A ciò si somma infatti l’incriminazione di due filiali del colosso cinese per furto di tecnologia cellulare a danno della rivale T-Mobile. Ma naturalmente è la vicenda che riguarda la dirigente ad essere ora sotto i riflettori.

REAZIONE A CATENA

Nonostante il clima tra Washington e Pechino fosse già teso in precedenza, è solo con l’arresto di Meng che la situazione è davvero precipitata, incrinando anche i rapporti fra Cina e Canada. La detenzione per “violazione della sicurezza nazionale” di un consulente e un ex diplomatico canadesi, Michael Spavor e Michael Kovrig. L’inattesa condanna a morte, il 14 gennaio, di Robert Schellenberg, cittadino canadese condannato in precedenza alla detenzione per spaccio internazionale e ora, dopo un clamoroso riesame all’indomani del caso Meng, avviato al patibolo. Senza contare le continue stilettate dei rispettivi ministeri degli Esteri, che avvisano i viaggiatori della “pericolosità” di un soggiorno nei due Paesi, nonché la serie di incaute dichiarazioni, proprio sul caso Huawei, che è costata il posto all’ambasciatore canadese in Cina, John McCallum, rimosso dal premier Justin Trudeau.

LA CONTESA SUL 5G

Tuttavia, più passa il tempo più emerge con chiarezza che la vera contesa che vede contrapposti Usa e Cina è quella per la supremazia tecnologica, capace di determinare nel prossimo futuro gli equilibri mondiali. Washington, ha ricordato su queste colonne l’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, è convinta che Pechino stia giocando sporco, rincorrendo l’Occidente a colpi furti di know-how, acquisizioni e investimenti. Per questo gli Usa, ha rimarcato il diplomatico, stanno cercando di chiamare a raccolta gli alleati per fare fronte comune sul 5G, ritenuto un dossier non solo tecnologico, ma anche strategico e di sicurezza: se l’Europa dovesse aprire le porte a una rete 5G sviluppata dalla Cina, ciò permetterà automaticamente a Pechino di controllare tutti i flussi di dati, le comunicazioni e tutto l’Internet of Things della regione. Alcuni Paesi del Vecchio Continente e della Nato si stanno per questo già allineando con la posizione americana. E l’Italia?

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