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Huawei, ora nel mirino Usa entrano i dispositivi solari

huawei frusone

Cresce la tensione tra gli Stati Uniti e Huawei. Tra Washington e il colosso cinese si è aperto un nuovo fronte dopo che alcuni legislatori hanno manifestato la paura che le attrezzature della compagnia che consentono il trasferimento dell’energia prodotta da pannelli solari nella rete elettrica, gli inverter, possano essere hackerate permettendo a parti terze di rallentare o persino interrompere la fornitura di elettricità in Usa.

I TIMORI BIPARTISAN

Tom Marino, rappresentante democratico per la Pennsylvania ha scritto a Rick Perry, segretario statunitense per l’Energia, affermando di temere per l’ingresso della compagnia in questo mercato. Mentre Bob Latta, membro repubblicano del comitato della Camera per l’energia ed il commercio, ha affermato che la sicurezza delle infrastrutture energetiche ha un’importanza fondamentale per il Paese e che gli Stati Uniti devono garantire protezione e capacità di resilienza per tutte le infrastrutture critiche. Anche Jerry McNerney, deputato democratico della California, ha sottolineato l’importanza di dare ascolto a quanto già dichiarato dalle agenzie di Intelligenze statunitensi, le quali hanno più volte rimarcato i rischi posti nell’affidarsi a Huawei, ritenuta troppo vicina al governo di Pechino.

I FRONTI APERTI

Quello dell’energia è infatti l’ultimo dei capitoli che vedono contrapposti gli Usa a Huawei. Nelle scorse ore, dopo una lunga e perdurante escalation, la procura federale ha annunciato di stare conducendo un’indagine sulla compagnia cinese, accusata di furto di segreti commerciali nei confronti di partner commerciali statunitensi (tra cui T-Mobile). Inoltre, dopo Stati Uniti, Australia, Giappone e Nuova Zelanda, molti Paesi – anche in ambito Nato – stanno prendendo in considerazione la possibilità di estromettere il colosso di Shenzhen da alcuni ambiti tecnologici, in particolare lo strategico 5G. Preoccupazioni a riguardo, ricorda oggi il Wall Street Journal, sono state espresse in misure diverse in Regno Unito, Francia, Germania, Norvegia e Polonia, per citarne alcuni.

LICENZA DI ESPORTARE

Non sono le uniche novità che riguardano Huawei. Una divisione del colosso cinese delle telecomunicazioni che ha sede nella Silicon Valley non sarebbe – secondo documenti ottenuti e diffusi sempre dal Wsj – nelle condizioni di inviare in patria alcune tecnologie. La divisione coinvolta, ha raccontato nei giorni passati Formiche.net, si chiama Futurewei Technologies e ha un centro di ricerca e sviluppo a Santa Clara (California) dove lavorano circa 700 unità tra ingegneri e scienziati. A questa realtà il dipartimento americano del Commercio non avrebbe rinnovato una licenza per effettuare esportazioni. E, come accaduto spesso di recente, stando ai file la giustificazione fornita dall’amministrazione Trump già lo scorso giugno è che Washington intende così tutelare la sua sicurezza nazionale. La mossa sarebbe stata contestata da Futurewei – che continua comunque le sue attività, anche perché la maggior parte dei suoi prodotti non richiede una licenza per lasciare il suolo americano -, ma nel frattempo le sue esportazioni sono state vietate.

Oltre alle questioni di sicurezza, resta in piedi, come detto, anche un altro delicatissimo fronte che vede opposti Stati Uniti e Huawei. Si tratta dell’arresto in Canada (su richiesta degli Usa, che ne chiedono l’estradizione) di Meng Wanzhou, numero due e direttrice finanziaria della telco, nonché figlia del fondatore Ren Zhengfei, ritenuto vicinissimo ai vertici del partito comunista cinese. La donna è stata fermata con l’accusata di aver violato sanzioni Usa legate all’Iran e alla Siria, e documenti ottenuti e diffusi da Reuters sosterrebbero questa tesi.

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