Non si placano le tensioni internazionali che coinvolgono Huawei, la compagnia di telecomunicazioni cinese al centro del braccio di ferro globale tra Usa e Cina. A far discutere sono soprattutto le ripercussioni che fanno seguito all’arresto in Canada della direttrice finanziaria del colosso di Shenzhen (e figlia del fondatore della compagnia Ren Zhengfei), Meng Wanzhou.
LA SCELTA DI WASHINGTON
Gli Stati Uniti intendono chiedere l’estradizione per processare la donna, accusata di aver violato le sanzioni contro l’Iran. Nel frattempo, il fermo della manager di Huawei da parte del Canada ha portato a immediate conseguenze per il Paese nordamericano, che ha visto arrestati in Cina diversi suoi cittadini – su tutti l’ex diplomatico Michael Kovrig e dell’imprenditore Michael Spavor – accusati di spionaggio. Una mossa, quella di Pechino, che – sebbene le smentite della Repubblica Popolare – è stata letta dagli osservatori come una “ritorsione” e un elemento di pressione.
IL DISAPPUNTO CINESE
Pressione che è aumentata proprio a seguito della richiesta della notizia della possibile richiesta di estradizione che dovrebbe essere ufficializzata a fine mese. Non è tardata infatti la reazione di Pechino, che attraverso un appello della portavoce del ministero degli Esteri cinese Hua Chunying, ha ufficialmente chiesto agli Stati Uniti di ritirare il mandato di arresto. Secondo la Cina, infatti, le richieste degli Usa e la vicenda Huawei costituirebbero un abuso del trattato di estradizione tra Washington e Ottawa, e il comportamento dei due Paesi starebbe ledendo la sicurezza e i diritti di una cittadina cinese.
LA LETTERA A PECHINO
Così non la vede un fronte sempre più ampio di Paesi occidentali, che stigmatizzano il comportamento cinese (e che vedono, come Washington, alcuni pericoli di sicurezza insiti nell’adozione di tecnologie made in China, come ad esempio nel caso del 5G). Kovrig e Spavor vedono allontanarsi, con l’acuirsi delle tensioni tra i tre Paesi, le possibilità di rientrare in Canada. Per questo oltre cento accademici di rilievo, diplomatici e figure politiche hanno indirizzato una lettera al presidente Xi Jinping chiedendogli di rilasciare i due. Secondo i firmatari del documento, le attività diplomatiche e di ricerca portate avanti dai due non hanno nulla a che fare con lo spionaggio, anzi sono fondamentali per costruire relazioni “genuine, produttive e durature” tra le nazioni, mentre il comportamento assunto da Pechino lascerebbe presagire la necessità di maggiore cautela nei confronti di attività di viaggio e di lavoro in Cina. Tra i firmatari, diversi diplomatici, ambasciatori, governatori e figure che hanno dedicato la loro vita alle relazioni tra Cina e Occidente provenienti da diversi Paesi, Italia compresa.