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Investimenti, pianificazione e attivismo in Europa. I suggerimenti di Nones per la Difesa

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Pianificazione a sei anni, bilanciamento delle spese tra investimenti ed esercizio e ruolo proattivo nel processo di integrazione industriale avviato da Bruxelles. È questa la ricetta per la Difesa suggerita da Michele Nones, consigliere scientifico dell’Istituto affari internazionali (Iai), già consigliere del dicastero di palazzo Baracchini, presentata ai deputati della commissione Difesa di Montecitorio. L’audizione rientra nell’indagine conoscitiva che la commissione presieduta da Gianluca Rizzo ha lanciato lo scorso novembre, relativa “alla pianificazione dei sistemi di difesa e alle prospettive della ricerca tecnologica, della produzione e degli investimenti funzionali alle esigenze del comparto difesa”.

GLI SVILUPPI EUROPEI

L’attenzione principale resta rivolta al contesto europeo. Lo scorso giugno, la Commissione ha presentato la proposta di regolamento per istituire un Fondo europeo per la Difesa (Edf) prevedendo una dotazione di 13 miliardi di euro per il periodo 2021-2027. Intanto, ha ricordato Nones, sono già partite le fasi iniziali, con l’Azione preparatoria per la ricerca (Padr, dotata di 90 milioni per tre anni dal 2017) e il Programma per lo sviluppo industriale (Edidp, con 500 milioni per il biennio 2019-2020). Si tratta della “carota, cioè di incentivi di cofinanziamento, dopo diversi anni in cui l’Unione europea ha fatto ricorso solo al bastone, con un approccio puramente normativo per regolamentare il mercato”. In altre parole, Bruxelles “ha deciso finalmente di mettere mano al portafoglio della cassa europea per iniziare a contribuire ai programmi nel campo della Difesa”. È un passo in avanti notevole, nato da una consapevolezza cresciuta negli ultimi anni: “Se l’Europa vuole avere un peso nel mondo e garantirsi un minimo di superiorità tecnologica e militare – ha notato l’esperto – deve portare avanti iniziative comune”.

COSA PUÒ FARE L’ITALIA 

Certamente, a questo processo l’Italia dovrà continuare a partecipare con attivismo e impegno in ogni sede negoziale, così da poter tutelare i propri interessi di fronte alle ambizioni, già palesate, di altri Paesi. Una proposta concreta che il Bel Paese può portare al tavolo europeo, è “far riconoscere il cofinanziamento nazionale dei programmi nel campo della difesa, considerati di interesse comune, al di fuori del patto di stabilità”. Secondo Nones, “non è una misura sconvolgente, poiché non altera i principali indicatori economici, ma sicuramente sarebbe un bel messaggio sia per lo sviluppo tecnologico dell’Ue, sia per dimostrare sensibilità nei confronti dei programmi di questo settore”. Dal punto di vista nazionale, ha evidenziato il consigliere scientifico dello Iai, ciò permetterebbe, “stanti i nostri problemi di finanza pubblica, di poter finanziare ricerca e innovazione senza andare a carico del debito”. Tra l’altro, attualmente l’Italia può vantare un buon posizionamento nelle iniziative già avviate. Il primo e più cospicuo progetto della Padr, Ocean 2020, è guidato da Leonardo. Sui 34 programmi della cooperazione strutturata permanente, 21 vedono la partecipazione italiana, al primo posto insieme alla Francia. Recentemente, inoltre, la Commissione europea ha espresso il proprio compiacimento sul parere reso dalla commissione Difesa di Montecitorio circa la proposta di regolamento per l’Edf, nel quale ci sono una serie di indicazioni importanti (tra tutte, la richiesta di escludere deroghe al requisito della partecipazione di almeno tre imprese in tre diversi Paesi per accedere ai finanziamenti).

IL LIVELLO DELLA SPESA

Rispetto a tutto questo, c’è però un dato che pone l’Italia in una posizione scomoda: “Abbiamo un livello di spesa molto più basso rispetto ai nostri maggiori partner”. Attualmente, “il bilancio della Difesa ammonta a circa 20/21 miliardi di euro, pari a circa l’1,19% del Pil”. Oltre alla lontananza dagli obiettivi del 2% (entro il 2024) che l’Italia ha condiviso in ambito Nato, da notare c’è “una strana ripartizione della spesa” secondo Nones. Considerando la sola Funzione Difesa (escludendo il Fondo missioni e le spese dei Carabinieri) il 60,8% della spesa (16,5 miliardi in tutto) è diretto al Personale, l’8,5% all’Esercizio, e il 30,7% all’Investimento (compresa la parte Mise). Secondo l’esperto, occorre puntare a una diversa distribuzione: 40% Personale; 30% Esercizio e 30% Investimento. Con le percentuali attuali, infatti, “l’investimento per uomo, che è il vero indicatore da tener presente, resta basso, e si rischia di avere una condizione con tanti uomini con pochi mezzi e, soprattutto, non addestrati”.

OCCORRE FARE DELLE SCELTE

Poi, c’è il capitolo delle scelte strategiche. Sui programmi internazionali ed europei, secondo Nones occorrerà superare la logica per cui “si ottiene tanto lavoro quanto si paga”. Tale approccio “altera l’efficienza del mercato, creando sovra-capacità produttive” poiché ogni Stato potenzia lo stesso settore industriale per creare occupazione da assorbire grazie all’acquisto dei prodotti del programma. Il risultato è “trovarsi nella triste situazione per cui si mandano avanti i programmi per mantenere in vita le aziende”. Superare tale logica richiederà “uno sforzo di coraggio: non possiamo fare tutti tutto”. A ciò si aggiunge l’esigenza di fare della “scelte chiare sulle competenze tecnologiche”. Soprattutto nella strada dell’integrazione europea, è importante che il Paese “decida quali sono le capacità che vuole mantenere sovrane e quali è disposto a condividere”, ha notato l’esperto. La proposta di Nones è rispolverare un documento che la Difesa ha già presentato qualche anno fa: la Strategia industriale e tecnologica (Sit). L’obiettivo è “fare chiarezza su come la Difesa intende gestire la propria strategia”. Come fanno altri Stati (“tra cui la Germania”) si tratta di individuare “le aree tecnologiche d’eccellenza su cui avere un particolare occhio di riguardo”.

IL RUOLO DELLA PROGRAMMAZIONE

Tutto ciò si lega “al problema della pianificazione delle spese per la Difesa”. Ad oggi, ha notato Nones, “siamo al 24 gennaio e ancora non so cosa rispondere a chi mi domanda quanto spenderà l’Italia nel 2019 per la Difesa; possiamo dare un valore totale, ma non si conosce la parte destinata agli investimenti, né i programmi finanziati”. Su questo, la proposta è la stessa già lanciata in passato (anche nel Libro bianco del 2015): “Dotarci, come tutti i principali Paesi, di una pianificazione a sei anni, rivedibile ogni tre, e dunque allineata ai cicli delle leggi di bilancio, che assicuri stabilità programmatica alle Forze armate e all’industria, e che sia per il Parlamento un elemento di chiarezza e trasparenza”.

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