Dopo silenzi stampa e ogni tanto qualche allusione, Israele ammette. Prima è il capo di Stato Maggiore uscente Eisenkot, in un’intervista al New York Times pubblicata l’11 gennaio e poi la conferma di Netanyahu: Israele colpisce obiettivi iraniani in Siria.
Nell’intervista al New York Times, Eisenkot si concentra su Qassem Suleimani, il capo delle Guardie della Rivoluzione iraniane che con successo ha portato Teheran a dominare Iraq, Yemen, e parte della Siria. Però secondo il generale israeliano, Suleimani avrebbe sottovalutato la preparazione di Israele e inebriato dai successi iraniani in altre aree, avrebbe commesso errori che hanno permesso Israele di contenere le mire di Teheran. In un’intervista alla TV israeliana, Eisenkot parla dell’Iran come la minaccia principale di Israele per i prossimi anni. Tra le domande poste a Eisenkot: “Perché Suleimani è ancora vivo?” e la risposta pacata: “Chiunque agisce contro di noi mette a rischio la propria vita – non voglio che sembri però una minaccia”. Il giornale iraniano Jam-e Jam risponde con un’intervista a Suleimani deridendo Israele. Delle esternazioni di Eisenkot si parla anche sulla stampa araba. Il sito al-Arabiya pubblica un articolo in cui riporta nel dettaglio le rivelazioni di Eisenkot, sostenendo che l’Iran starebbe cercando di coprire le perdite con i proventi di petrolio, gas e fosfati della Siria – lo stesso giornale ha intensificato nell’ultimo anno la voce anti-iraniana.
Proprio nel tour di Netanyahu domenica 13 gennaio in Galilea per visionare i risultati dell’operazione militare “Scudo Settentrionale”, Netanyahu ha confermato ciò che già aveva detto alla riunione del gabinetto il mattino, cioè che è stata Israele a colpire i depositi di armi iraniani all’aeroporto di Damasco, e che non esiterà a intensificare gli attacchi per impedire all’Iran di consolidare la propria presenza in Siria. Secondo il giornale libanese al-Akhbar, che ha sempre una posizione favorevole a Hezbollah, si tratterebbe di un’operazione mediatica di Netanyahu e anche di una minaccia alla Siria.
Le critiche a Netanyahu sono arrivate anche da varie fonti all’interno del governo. È effettivamente una novità che Capo di Stato Maggiore e Primo Ministro parlino così apertamente di questioni militari delicate. Le operazioni di Israele in Siria devono tener conto della Russia e delle negoziazioni sulla libertà di azione israeliana. Se è vero che né Israele né Russia vogliono un consolidamento della presenza iraniana in Siria, la Russia non ha interesse ad aprire un fronte di guerra con con Teheran e certamente non permetterà a Israele di mettere in pericolo eventuali interessi militari russi. La stampa russa non ha ripreso le parole di Netanyahu e per ora non pare esserci tensione tra i due Paesi.
“Non avrebbe dovuto scegliere di combattere un nemico forte su un terreno dov’è ancora debole” ha detto Eisenkot di Suleimani. E la guerra Israele-Iran continuerà nei prossimi anni, costituendo il punto centrale della politica di sicurezza di Israele e delle scelte militari del prossimo Capo di Stato Maggiore. È vero che da Gaza continuano ad arrivare gli aquiloni incendiari, che l’Autorità Palestinese ha intensificato la politica anti-Hamas, abbandonando il controllo del valico di Rafiah e causandone la chiusura da parte delle autorità egiziane, è vero anche che vi è un aumento degli attacchi terroristici ai civili israeliani in Giudea e Samaria, ma il primo motivo di preoccupazione è l’Iran.
Nella visione israeliana, l’Iran si trova su quattro linee: con Hezbollah al confine libanese, al confine siriano, con Hamas e Jihad Islamico a Gaza e con attività di queste due organizzazioni terroristiche anche nella West Bank. Eisenkot avvisa anche che la sicurezza palestinese va rafforzata. Un vuoto di potere potrebbe effettivamente colmarsi solo con gli elementi più estremisti, appoggiati dagli oltranzisti e da quella parte di società giovane e attivista che pur non condividendo l’agenda islamista vede però in Hamas il vero fronte di battaglia contro il regime sionista. Per questo Teheran rimane il nemico numero uno, non solo per il programma nucleare, quanto per l’egemonia che l’Iran sta costruendo nella regione.
Non è comune che Israele parli delle operazioni militari, ma lo scenario politico nella regione sta cambiando: gli Stati Uniti si stanno progressivamente ritirando (dalla Siria e dall’Afghanistan), e Teheran vuole colmare il vuoto (anche stabilendo relazioni prima impensabili, come con i talebani afghani, in funzione anti governo), per costituire un nuovo cuscinetto sciita che da Teheran a Beirut garantirebbe di uscire dall’accerchiamento sunnita e pro-americano in cui l’Iran si sente soffocato. Questo progetto garantirebbe anche il perseguimento dell’obiettivo anti-sionista, centrale per la politica iraniana. In questo progetto che per Israele è un incubo c’è però da tener conto delle sanzioni americane, come influiranno sull’Iran, delle nuove sanzioni europee per gli atti di terrorismo su suolo olandese attribuiti al regime di Teheran, e la “rivolta” irachena, i cui leader sciiti anche incominciano a non apprezzare le ingerenze iraniane.