“Il 5G non è una questione puramente tecnologica, ma anche strategica e di sicurezza, ovvero se l’Europa e l’Italia dovessero permettere una rete 5G sviluppata dalla Cina, permetteranno automaticamente a Pechino di controllare tutti i flussi di dati, la comunicazione e tutto l’Internet of Things della regione”.
A crederlo è Giulio Terzi di Sant’Agata, già ministro degli Esteri e ambasciatore d’Italia in Israele e negli Stati Uniti, che in una conversazione con Formiche.net spiega perché l’Italia dovrebbe seguire la linea degli Stati Uniti (e di altri Paesi occidentali) su questo strategico dossier.
Ambasciatore Terzi, Washington è sempre più convinta della necessità di adottare una linea dura nello scontro tecnologico con Pechino e, in particolare, sul dossier 5G-Huawei. Perché?
Gli americani hanno diversi motivi per voler indurire la politica nei confronti della Cina. Tra le questioni più spinose certamente vi è questa corsa cinese per diventare la prima potenza tecnologica al mondo. Il 5G non è una questione puramente tecnologica, ma anche strategica e di sicurezza, ovvero se l’Europa e l’Italia dovessero permettere una rete 5G sviluppata dalla Cina, permetteranno automaticamente a Pechino di controllare tutti i flussi di dati, la comunicazione e tutto l’Internet of Things della regione.
L’amministrazione Usa considera la supremazia sul 5G – e più in generale sulle tecnologie emergenti come l’Intelligenza artificiale – una sorta di nuova “corsa agli armamenti”. Lo condivide?
Assolutamente. La sovranità tecnologica mondiale nei prossimi cinque anni sarà nelle mani di chi avrà sviluppato la rete 5G e altri ambiti tecnologici strategici. Questi settori non permettono distrazioni, perché la legge sull’Intelligence cinese del 2017 afferma chiaramente l’obbligo per ogni azienda cinese – se le venisse richiesto – di collaborare con i servizi segreti di Pechino ovunque esse operino.
Gli Stati Uniti chiedono che gli alleati – Italia compresa – si schierino con Washington in questa partita. Una posizione che ha portato l’ambasciatore canadese a Pechino, John McCallum (ora rimosso dal suo incarico), a parlare di “un coinvolgimento politico di Donald Trump” sul caso della numero due di Huawei, Meng Wanzhou, arrestata a Vancouver su richiesta Usa.
Chiaramente c’è un interesse politico americano molto forte dietro le pressioni fatte agli alleati, ma dobbiamo ricordarci che contenere la Cina rientra anche nei nostri interessi. Solo in Italia Huawei controlla il 20% del mercato della telefonia, e si parla di un trend in salita. E non è il solo Paese in questa situazione.
Che posizione dovrebbe adottare l’Italia in questa contesa?
Principalmente lasciare Huawei fuori dal 5G. Se la Penisola continuasse a servirsi dei sistemi Huawei ci ritroveremmo tirati fuori dal contesto nordeuropeo che invece punta ad allinearsi con la posizione americana: molti Paesi hanno già seguito Washington e altri lo faranno perché il tema è strategico nonché epocale. In secondo luogo spingere perché si crei un quadro normativo preciso legato alla sicurezza nazionale e alle nuove tecnologie. Per ultimo, mantenere saldi i legami con i partner europei al fine di elaborare linee guida precise e condivise su tematiche di sicurezza informatica connesse alla pervasività cinese, cercando di stabilire su quali piani commerciali sia dirimente allontanare le aziende costrette a collaborare con il governo di Pechino. Spesso ci si affida a compagnie cinesi per risparmiare, per un puro discorso di rapporto qualità-prezzo. Ma i rischi che si corrono sono molto più alti del beneficio economico.
Su chi può fare affidamento l’Italia per lo sviluppo e l’acquisizione di nuove tecnologie?
Sicuramente su se stessa. L’Europa è cresciuta molto negli ultimi anni sul piano della regolamentazione circa privacy e sicurezza dei dati. Dalla direttiva Nis al Gdpr, la consapevolezza europea si è rafforzata, e certamente a livello nazionale si sta iniziando a dare grande enfasi all’opportunità di sviluppare tecnologie e start-up. Non mancano finanziamenti pubblici o europei, quindi nonostante non siamo ancora al livello di sviluppo tecnologico e know how degli Stati Uniti, dobbiamo continuare a crescere su questa strada, poiché la digital economy è la via principale attraverso cui le nazioni si svilupperanno nei prossimi anni. Tuttavia bisogna comprendere che la collaborazione con Washington va mantenuta e alimentata, perché va oltre il mero rapporto economico. La Cina non ha avuto il cambio in direzione liberal-democratica che si auspicava negli anni ’90, non gioca con le stesse regole a cui ci conformiamo noi sul mercato internazionale e per questo motivo non è possibile non allinearsi alla posizione americana. Proprietà intellettuale inesistente, attacchi informatici, spionaggio industriale massiccio, ripercussioni di ogni tipo contro i Paesi alleati che ne contestino le politiche nell’ambito dei diritti umani, per non parlare degli investimenti predatori sulle infrastrutture critiche occidentali, le reti elettriche, la finanza e i trasporti. Se la lungimiranza americana consiste nell’affermare che chi controlla la rete 5g avrà una superiorità strategica nei confronti di tutto il mondo, allora possiamo certamente dire che questa superiorità non possiamo lasciarla in mano a Pechino.