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Lino Banfi all’Unesco, in nome del populismo

di maio, banfi

La nomina di Lino Banfi quale rappresentante dell’Italia nella commissione italiana per l’Unesco, sostenuta pubblicamente dal vicepremier Di Maio, ha suscitato molte polemiche. Da più parti è stato evidenziato che il noto attore non ha le qualità necessarie per ricoprire l’incarico, in particolare dal punto di vista culturale e dell’esperienza internazionale. Tali critiche sono condivisibili ma, al tempo stesso, rischiano di distogliere l’attenzione dalla portata politica e istituzionale della nomina.

La questione più rilevante, infatti, non è quella della nomina di una persona che appare carente dei necessari titoli culturali ed esperienziali. Non sarebbe la prima volta. Bensì quella di comprendere la logica sottesa a tale nomina. Si può pensare che la scelta sia stata casuale o semplicistica, assunta a fronte di possibili difficoltà a reperire un soggetto più adatto, più esperto, di maggior prestigio rispetto al pur bravissimo attore pugliese. Ma se la componente 5 Stelle del governo ha anteposto Banfi a soggetti più qualificati, certamente disponibili, e ha rivendicato pubblicamente la nomina, è ragionevole ritenere che ci siano precise ragioni e finalità. Quali?
Le caratteristiche essenziali di Lino Banfi sono quelle di essere un personaggio molto noto e popolare, proveniente da una regione del meridione, privo di competenze ed esperienze professionali ulteriori rispetto al lavoro di attore, sostanzialmente estraneo al sistema della cultura nazionale e non pratico di lingue straniere e contesti internazionali. È possibile che queste caratteristiche, apparentemente inadeguate per un ruolo presso l’Unesco, siano invece conformi rispetto a un’idea dei 5 Stelle, sia in termini di principi che di propaganda.

In tal senso, la scelta di un attore che ha interpretato ruoli molto popolari, caratterizzati da grande comunicativa ed empatia, consente al Movimento di accreditarsi ulteriormente come espressione di una cultura del popolo, contrapposta a quella elitaria, che sceglie persone vicine al popolo. La provenienza del nominato da una regione del sud costituisce un riconoscimento dei meriti e delle virtù del meridione, prioritario bacino elettorale dei 5 Stelle.

Il fatto che Banfi non conosca lingue straniere e sia privo di una storia accademica e professionale adatta a una nomina all’Unesco, esprime disinteresse per la competenza e il curriculum. Come confermato dall’attore, che all’annuncio della nomina ha dichiarato: “In mezzo ai plurilaureati porteremo un sorriso”. Il che significa che la nomina di Banfi può rappresentare la messa in scena della delegittimazione del sapere a favore dell’indifferenziazione culturale, per la quale anni di studio e lavoro contano poco e possono essere tranquillamente sostituiti dalla buona volontà e da un sorriso (con ciò offrendo riconoscimento e gratificazione alla parte del popolo grillino orgogliosamente priva di titoli e competenze). Uno vale uno. E tutti possono fare tutto. Questa è la regola. In nome di una sorta di rivoluzione culturale all’italiana, nemica del sapere e dell’esperienza.

Nella stessa logica, l’estraneità di Banfi al sistema della grande cultura nazionale, se non per la limitata parte del cinema e del teatro popolare, può integrare una sorta di sberleffo verso un mondo ritenuto elitario, abitato da intellettuali ormai superati, in linea con i vaffa degli ultimi anni da parte del Movimento grillino.

Si potrebbero individuare altri elementi apparentemente strumentali nella nomina di Banfi. Ma quelli richiamati bastano ad evidenziare quelle che sembrano le logiche sottostanti la nomina. Logiche forse elaborate in sede governativa ma che potrebbero discendere anche da valutazioni di marketing politico, tipiche dello studio Casaleggio. Nessun problema, se non fosse che gli interessi nazionali, relativi a una nomina del governo, possono essere compromessi da logiche strumentali.

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