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Come difendere (e rilanciare) l’industria del mare. La ricetta di Onorato

Il mare come approccio alla vita e passione da difendere con le unghie e coi denti. Vincenzo Onorato è un imprenditorie italiano, alla testa di un colosso da oltre 4.700 dipendenti, la Onorato Armatori,  che comprende compagnie di navigazione quali Moby, Tirrenia-Cin Toremar oltre a essere il patron del team velico Mascalzone Latino. Rappresenta la figura dell’industriale diverso, di quelle figure rare che all’azienda intesa come fonte di profitto ha affiancato l’idea romantica di impresa nel suo valore sociale e civile.

campagnaÈ noto, infatti, il suo impegno nella tutela del comparto marittimo italiano che sta subendo duramente le conseguenze della crisi. A tal proposito ha lanciato una nuova campagna mediatica dove campeggia in grande la scritta Non vi tradirò mai, a rimarcare la sua vicinanza ai lavoratori marittimi del nostro Paese. Onorato porta avanti da tempo la sua battaglia per la difesa sia del lavoro dei marittimi ma anche delle leggi che dovrebbero tutelarlo e che invece, come spiega a Formiche.net, vengono disattese.

Onorato, l’Italia vanta una delle tradizioni marittime più antiche e prestigiose al mondo, seconda solo a Gran Bretagna, Olanda e forse Francia. Eppure il settore soffre. Perché?

Il nostro settore è forse l’unico a poter vantare un trattamento fiscale davvero agevolato. Con la legge del 1998 ha ottenuto infatti la quasi completa defiscalizzazione degli utili, a patto di imbarcare personale italiano. Una misura di tutela e sostegno straordinaria che però in molti, troppi casi, viene disattesa, complice da una parte la concorrenza della forza lavoro straniera che accetta di imbarcarsi per pochi euro e in alcuni casi anche sotto la minaccia di non vedersi restituiti i documenti a fine ingaggio. Dall’altra il mancato controllo e la totale assenza dei sindacati fanno il resto. In qualunque settore ma nel nostro in modo particolare, se non si investe su personale qualificato e competente le ripercussioni sulla qualità dei servizi sono scontate. Le nostre compagnie trasportano ogni anno quasi 7 milioni di passeggeri su 34 porti da cui nel 2018 ha effettuato circa 41 mila partenze servendo tratte italiane ed internazionali. Il nostro impegno è garantire loro non solo sicurezza ma anche qualità dei servizi: dalla puntualità, alla pulizia, ai cibi e le bevande. Chi si affida a noi per mare deve sapere che può stare tranquillo. Questo è un tema fondamentale che purtroppo spesso gli armatori dimenticano. Se a questo uniamo il fatto che ormai tutti i grandi cantieri navali sono all’estero, è facile comprendere perché il nostro settore sia in difficoltà.

Lei nei mesi passati si è schierato apertamente con i lavoratori del mare italiani, colpiti duramente dalla crisi, lanciando una petizione. Qual è il senso di tutto questo?

Il nostro Paese ha bisogno di lavoro, questo dovrebbe essere il primo se non unico impegno dei politici. Conosco bene il settore dei marittimi e posso dire che potremmo cominciare a risolvere il problema dei 50 mila marittimi italiani disoccupati, se cominciassimo a rispettare le leggi in vigore nel nostro Paese. Ma deve essere un impegno di tutto il comparto, non mio o di poche compagnie minori che chiaramente in questo contesto hanno difficoltà a competere con i colossi che possono disattendere le regole e restare impuniti. Senza contare i giovani che non vengono più avviati volutamente alle professioni del mare. Si potrebbe fare molto, se ci fosse davvero una volontà a livello del settore e della politica. Ma ad oggi il mio appello è caduto nel vuoto, non sono stato ancora chiamato da nessun rappresentante del governo e nessuno ha risposto alle mie richieste di confronto.

Lei è uno dei pochi capitani di industria rimasti, come li chiamano spesso i media. In passato ce ne sono stati molti in Italia, ma esserlo nel 2019 che cosa significa?

Il nostro mondo sta cambiando rapidamente e le innovazioni che sono già arrivate in altri campi arriveranno anche nel nostro settore. Basti pensare a tutto il tema dell’innovazione o della sicurezza informatica che investe in pieno la navigazione marittima. Con queste prospettive, non possiamo pensare di concentrarci esclusivamente sul profitto trascurando la dimensione sociale del nostro essere imprenditori.

In un mondo globalizzato la concorrenza è la vera sfida. Tante compagnie e soprattutto tanta manodopera a costi minori. Come può l’Italia e il suo know how vincere la partita?

Il reshoring è un tema ormai quotidiano per moltissime aziende che anni fa avevano colto le opportunità della globalizzazione per abbattere i costi di produzione e restare competitive su un mercato sempre più ampio. Oggi la tendenza si è invertita: politiche economiche protezionistiche, imposizione di nuovi dazi, crescita delle economie asiatiche con conseguenti ricadute anche in termini di costo del lavoro hanno reso meno conveniente restare all’estero. L’Italia è un paese che possiede tutto ciò che serve alle aziende dalle infrastrutture a manodopera qualificata. Quello che manca è una seria politica economica che renda conveniente ritornare a produrre in Italia e che vada davvero incontro alle esigenze delle imprese che devono competere sul piano internazionale.

Le previsioni per l’economia italiana non sono delle migliori. Non le chiedo un giudizio sul governo ma tre cose da fare subito per evitare il burrone

Semplificazione burocratica, semplificazione fiscale e riduzione delle imposte sul lavoro, incentivi all’innovazione e sgravi per la ricerca.

Ogni buon marinaio, si dice, teme il mare. Quanto conta oggi l’umiltà negli affari?

Il mare è un’espressione di Dio e va temuto, il mondo degli affari non va temuto solo affrontato

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